Si riparte: un'anticipazione

L'estate è ormai finita e il mio intervento – a ricordare che l'impegno, su più fronti, per qualcuno non si è fermato – è l'invito a seguire la pubblicazione di un libriccino che dalla forma nebulosa di una prima lettera, scritta e mai consegnata quasi un anno fa, ha preso la struttura di una dissertazione insolita. Un po' per il "taglio", sospeso tra prosa e poesia, un po' perché essa si pone il proposito di parlare di sentimenti, e un po' perché è definibile come inutile e inessenziale, come di fatto pare sia oggi parlare del sentimento più nobile: l'amore. Pare sia inutile, sì. Non si parla di cosa si sente, non ci si confronta su ciò che ci anima e ci spinge verso qualcuno. Forse perché manca il movente per farlo; percorrere certi sentieri espone al rischio di essere fraintesi, ma soprattutto ci espone: al rischio di scoprire le carte, sia laddove il "gioco" consista nel celare un coinvolgimento che si teme ci renda vulnerabili, sia laddove l'interesse sia quello di ingigantirne la profondità per ottenere la disponibilità ad una storia che altrimenti naufragherebbe prima ancora di salpare. Verrebbe da pensare che, se parlare del sentimento più nobile è divenuto un tabù, forse è la nobiltà d'animo ad essere andata persa. E si sa, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Personalmente, credo che una crescita interiore degna di questo nome non possa prescindere dalla capacità di voler bene ed essere in grado di comunicarlo. Non vi è impegno sociale, spirito critico e di lotta che non possa infrangersi miseramente nell'incapacità di conoscersi, parlare chiaro e mettersi a nudo: non alludo certo all'incapacità di denudarsi fisicamente, giacché davvero di quella ve n'è in sovrabbondanza! E qui non posso fare a meno di notare come questa facilità a lasciar cadere gli abiti, oggi, sia inversamente proporzionale a quella di lasciar cadere i veli della reticenza, funzionali all'occultamento del disorientamento interiore, dell'analfabetismo sentimentale. Tanto si sanno leggere le mappe che geograficamente ci traghettano in altri luoghi e altri lidi (costantemente inseguiti!), quanto si ignorano, o si disconoscono, le costellazioni dei nostri riferimenti più profondi e più significanti. Non c'è, dicevo, sete di giustizia sociale e buoni propositi ideali che poi non lascino emergere una distanza siderale da noi stessi, dalle emozioni più vere. La verità è che, tra i sentimenti, non ve n'è uno che ci esponga alla morte più dell'amore. È l'amore ad ucciderci, non l'odio. E non solo quando viene a mancare una presenza, ma soprattutto quando se ne percepisce il distacco. Ecco perché, per quello che ho potuto constatare, le persone più "impegnate" sono spesso le più deludenti. Non si riesce a far collimare in modo fecondo e proficuo l'esperienza esterna con quella interiore. Il fatto che sia difficile non è una scusante valida, mai, per nessuna cosa. Certo, parlare, come non a caso si dice "col cuore in mano", significa esporsi come se non vi fosse più una pelle a proteggerci, come trovarsi davanti ad un plotone di esecuzione. Sì, e allora quale guerra si potrà mai combattere a petto nudo, quale vessillo di buoni propositi si potrà mai difendere fino alla morte se quel plotone ci spaventa così codardamente?

Inoltre, in un eventuale confronto aperto e leale sui sentimenti, perde chi li dichiara, pur restando ferito dall'ambiguità dell'altro, o chi li fugge? Chi li fugge di cosa vive?

La dissertazione inutile del mio libriccino, in realtà, è leggera come il volo di una farfalla, lontano dalla pesantezza delle implicazioni che qui ho prefigurato. Questo perché ho voluto premettere che parlare di sentimenti non è qualcosa di svenevole e banale, da letteratura rosa. E perché, se si scrive per lasciare una testimonianza di noi, ed è l'amore a governarci, le righe (ma più ancora gli spazi bianchi che esse creano) dovranno restituire il senso di un esperire profondo e il respiro, perfino, di ciò che è così grande da restare in-dicibile. Il libro è in realtà un abbraccio di amore e riconoscenza: a chi mi ha insegnato il coraggio di viaggiare. Vi si legge: "Le tue orme e le mie frecce rappresentano quella sfida consapevole che ci prepara all'avvenire e al divenire".

Viviamo in un vuoto che è smarrimento della consapevolezza e dei sentimenti. Essi sono come la volontà di resistere che questi anni difficili hanno fatto emergere: l'ha espressa chi ne era capace.

Per cui questo libro è un interrogativo aperto su di noi, che non dobbiamo smettere di pungolarci, migliorare e travalicarci, e un grazie, grande come gli spazi che si aprono dai nostri occhi, immenso come la fame d'aria che portiamo nel petto. Seguirà un piccolo estratto...

Sara Lunghini


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