TEATRO (Parte I): CERCASI COMMEDIOGRAFO (E IMPRESARIO)

 



 A Fiesole si potrà gustare per un po' un calendario a menù fisso con "Rumori fuori scena". Disponendo di un ingresso gratuito, ho ceduto alla proposta di vederlo, pur immaginando che la noia e una punta di fastidio mi avrebbero sopraffatto. E in effetti così è stato. Però lo dico subito: è un mio difetto, un'idiosincrasia del tutto personale; gli attori sono bravi e la sceneggiatura spumeggiante. Per cui a chi lo volesse vedere non lo sconsiglio. È solo che non ne posso più di quelle commedie che in puro stile anglosassone ripropongono all'infinito uno stilema in cui i personaggi si cristallizzano in un sostanziale perbenismo, con un misto di affettazione, concitazione, conformismo e sentimentalismo. L'effetto stucchevole è ampliato dal fatto che, pur essendo la pièce adattabile a tempi e luoghi diversi, non si adeguano alla lingua recitante neanche i nomi propri. Uno stile da signorine per bene che ridono con la manina sulla bocca e reprimono ogni vaffanculo che risalga a sfiorare appena le labbrucce. Di politicamente scorretto non c'è nulla e la pirotecnicità della sceneggiatura è tutta nella forma, nel sapiente intreccio della trama; un lavoro certosino di rimandi e malintesi che, a volerselo figurare come un raffinato lavoro di pazienza e calibratura, verrebbe da paragonarlo alla precisione del ricamo, o alla perfetta procedura di una ricetta: propensioni, appunto, tutte "femminili".

 Non porti fuori strada il fatto di occuparmi di cose indigeste come i progetti criminali mondiali che premono sull'Italia più che altrove: mantengo un senso dell'umorismo, che mi porta ad apprezzare le occasioni conviviali e goliardiche; esso tuttavia deve parlare alle corde più genuine e intrinseche della personalità, e lo mio spirito etrusco (mi si conceda il vezzo) non s'accorda né alla rozzezza dei caratteristi romani né alla pruriginosità "british". Che poi, la commedia degli equivoci, a raccontarcela tutta, nasce in un'Italia che parlava ancora latino, per poi gironzolare in Inghilterra e tornare indietro come un uccello migratorio... padulo. Il perbenismo oltre-Manica (che oltre-Oceano si è fatto musical) ha contagiato abbondantemente le proposte filmografiche e teatrali italiane, modellandone il gusto, la sensibilità "scenica", col risultato che praticamente tutta la nuova generazione attoriale ne sembra assai condizionata; quelli che oggi possono vantare un nome da locandina e da palinsesto tv appaiono inequivocabilmente ben impostati, ben pensanti e ben retribuiti, come tanti allievi di Diane Keaton o tanti emuli di Hugh Grant.

 Io allora inviterei a riscoprire l'antico Plauto, assai più divertente e meno ipocrita degli autori successivi, ancora vivo nello spirito verace di tante compagnie amatoriali legate al vernacolo. E bisognerà anche spicciarsi se non si vuole che la cultura della cancellazione arrivi prima della nostra curiosità.

 Ciò che probabilmente oggi irretisce la nostra compagine artistica è il particolare periodo storico, in cui il coraggio delle idee costa tendenzialmente caro, chiedendo di sacrificare sull'altare di una presunta correttezza il fuoco vivo dell'arte, che invece dovrebbe appellarsi al senso critico, al confronto con la realtà, alla sua funzione salvifica, alla sua indipendenza intellettuale dai centri di potere. Eppure, non è che mi sfugga, sono poi i centri di potere che danno la disponibilità di uno spazio, di un teatro, e i fondi necessari per campare...

 Voglio pensare, anzi sperare, che esista tuttavia un commediografo abbastanza originale da intuffare il calamaio (benché digitale) nella visionarietà della propria epoca, nonché un impresario sufficientemente svitato da voler rischiare del suo, pur di far ridere facendo pensare: potrebbe essere necessario comprarsi un piccolo teatro, lottare contro la censura e contro i vandali sempre pronti a intervenire... O magari inventarsi un "teatro a domicilio"... Chissà, ma soprattutto spererei che, poi, l'intraprendenza iniziale non rallentasse nella tentazione di smussare e ingentilire, fino a cambiar di razza: da cane da guardia della democrazia a cane da compagnia dei castratori!

 Allora io che non so scrivere e che non ho fantasia voglio lanciare l'idea, una sfida tra le tante dei nostri tempi, di riuscire a divertirci con le pazzie del mondo. Io penso che ci voglia uno proprio bravo, ma i personaggi ci sono, sono già tutti lì che non aspettano altro che d'esser chiamati a farci alzare il livello di coscienza al pari degli angoli della bocca. Guardiamoci bene attorno: io vedo, vedo... una serie di figure e figuranti che, come invasati, invocano un'ideologia "green" che chiuderà la gente in casa... Vedo un grullo che vuole oscurare il sole e vuole – sempre lui, ma pensa te! – sguinzagliare un esercito di zanzare per aggirare il consenso alle inoculazioni di massa; ne vedo un altro che intende, nientemeno!, controllare la mente e le volontà dei terrestri con microchip cerebrali e satelliti! Li vedo allearsi: lo psicopatico con le zanzare "caricate" a nanotecnologie e l'altro con la sua "costellazione"... Ovviamente, qualcosa verso il finale gli va storto (DEVE andare storto!), e la risata è di quelle che ti sollevano davvero, la risata nervosa di un pericolo scampato...


Sara Lunghini

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