QUARTO CAPITOLO - L'Iris che fa i miracoli

 

“…«Appunto, tanto vale che mi dica tutto»…”


La brioscia risecchita e il cappuccino senza schiuma, servito in una tazza con il bordo sporco di rossetto, non era decisamente il massimo come inizio di giornata, specialmente tenuto conto che era domenica e anche il giorno libero dal lavoro, almeno in teoria, per il maresciallo Caglioma. Escluso a priori lo Strong, fra gli altri tre bar di Isolato Quarto aveva scelto il California nella speranza, rivelatasi vana, che quel nome presupponesse un minimo di solarità, ma anche perché era il più vicino all’abitazione del povero Martino Loiodice, ritrovato morto stecchito, peggio della brioscia che aveva in mano, il giorno avanti.

Da un tavolino che gli avventori precedenti avevano sporcato, chissà quanti giorni prima e rimasto sporco a futura memoria del loro passaggio, il maresciallo raccolse una copia mezza squadernata de La Finzione. Dopo aver controllato che non fosse un residuato dei giorni andati, come quella cosa che stava masticando, cercò in cronaca il trafiletto con la notizia dell’omicidio e si avvicinò nuovamente al banco.

Cosa avesse scritto in quelle quattro righe Lando Faria, o chi per lui, non interessava al Caglioma ma, leggerle borbottandole a mezza voce, gli servì da introduzione per portare il barista, dall’apparenza burbera e dall’età indefinibile, sul discorso dell’omicidio senza che sembrasse un interrogatorio. Grattare e superare il rivestimento di riluttanza di quell’uomo, che in ogni luogo te lo saresti potuto immaginare tranne dietro il banco di un locale pubblico, non fu facile. Al maresciallo gli ci vollero tutta la sua calma e la sua pazienza, coadiuvate da quella dote innata di saper usare il linguaggio, la gestualità e la mimica facciale per mettere a proprio agio i suoi interlocutori con la stessa abilità con cui, l’intagliatore e lo scultore, usano la sgorbia. E gli ci volle anche di aspettare il momento in cui nel bar fossero rimasti soli. Dopodiché, fu come aver tolto lo zipillo dal tino e le parole e i racconti cominciarono a sgorgare fluidi fuori dalla bocca del barista.

Mariano Maresca era diventato barista per sommatoria di sventure. Dapprima, neanc’ora trentenne, fu investito dal crollo dell’impalcatura sotto alla quale stava lavorando e che le regole della caccia al massimo profitto avevano sconsigliato di ancorare debitamente alla struttura del fabbricato in costruzione. D’istinto, quando sentì il fragore del metallo che si contorce e il crepitio delle assi di legno che si spezzano, tentò di proteggersi da quell’intelaiatura geometricamente perfetta e quieta (almeno fino ad un attimo prima) che si stava trasformando, proprio sopra di lui, in un mostruoso gomitolo ruggente. Lo fece stendendo verso l’alto il braccio destro nel tentativo, disperato, di frenarne il crollo. I Vigili del Fuoco, per tirare fuori Mariano dal groviglio che se lo era divorato, dovettero lavorare con cesoie e divaricatori idraulici per quasi mezz’ora. Intanto, gli altri operai del cantiere, se l’erano data a gambe perché senza contratto e ingaggiati a giornata da un caporale. Alla fine, al povero Maresca, gli andò anche di culo ma, la frattura di Monteggia che gli aveva devastato il gomito del braccio con cui aveva cercato di frenare il crollo, gli avrebbe impedito per sempre di svolgere lavori pesanti o che presupponessero un movimento di torsione fra braccio e avambraccio. Fu così che quell’infortunio gli stroncò, insieme a qualche altro osso sparso un po’ per tutto il corpo, anche la carriera di capomastro. Dopo mesi di convalescenza venne assunto come portiere di notte in una cartiera ma, in seguito all’incendio che la distrusse, si ritrovò di nuovo senza lavoro; va riconosciuto che almeno da lì ne uscì con la pelle intera! Dall’acciaieria nella quale Mariano lavorò alla manovra dei carroponte nei cinque anni successivi, ne uscì invece con in tasca una bella lettera di licenziamento: la fabbrica era stata acquistata da un gruppo industriale statunitense con l’intento di chiuderla dopo averne rilevato le commesse e i clienti. E così fece! Fortunatamente, nel frattempo e dopo estenuanti contenziosi, era arrivato il risarcimento dell’infortunio con il quale, aggiungendoci una montagna di cambiali, rilevò il bar California. Adesso, nonostante le cambiali che lo costringevano a stare in piedi dietro al banco sedici ore al giorno, sei giorni su sette e nonostante i dolori sempre più lancinanti, postumi del ponteggio piovutogli addosso, si sentiva realizzato. E sempre adesso, mentre dal cestello della lavastoviglie poggiato sul lavello prendeva tazze e bicchieri, gli dava una passata con uno strofinaccio macchiato di scuro, forse caffè, e li riponeva sui ripiani e negli scomparti, raccontava al maresciallo Caglioma di quel giovane morto ieri, assiduo frequentatore del California.

Il Maresca non finse di non essere a conoscenza dell’omicidio; tanto meno nascose di essere in rapporti di quasi amicizia con la vittima dando così, e pur senza volerlo, credito al suo racconto: se avesse avuto qualcosa da nascondere, pensò il maresciallo, avrebbe preso le distanze dai fatti e sminuito il grado di conoscenza.

Che Martino Loiodice facesse l’ortolano ambulante, insieme al padre e ai due fratelli più grandi, il Caglioma lo sapeva già. Anzi, il giorno precedente, dopo aver dato la triste notizia ai familiari, con i suoi uomini in forza alla stazione di Pasticci aveva ispezionato, oltre all’Alfa Romeo sportiva della vittima, anche i due piccoli autocarri Fiat, un 616 e un 241, con cui i Loiodice svolgevano la loro l’attività di fruttivendoli. Quello che non sapeva ancora, almeno prima della chiacchierata con il Maresca, era che per sbarcare il lunario i quattro congiunti facevano una vita mica da ridere. Ogni mattina, prima delle quattro, il padre e il figlio maggiore si presentavano al mercato centrale per l’acquisto della merce. Più tardi, recuperati gli altri due fratelli, iniziavano le gite verso destinazioni che si ripetevano con cadenza settimanale. Con gli anni avevano dovuto raggiungere località sempre più distanti dalla città, dove la grande distribuzione non aveva ancora eroso quote di mercato agli ambulanti. Spesso, dopo il loro rientro a casa che non era mai prima di metà pomeriggio, accatastavano le casse vuote e la merce invenduta sotto il loggiato del condominio, così da poter utilizzare i camioncini svuotati per raccogliere ferro vecchio o altro materiale di rifiuto che avesse ancora un valore residuo. Altre volte invece si offrivano per la svuotatura di cantine e soffitte o per la pulizia di cantieri edili. D’altra parte, che la famiglia non navigasse nell’oro, il Caglioma l’aveva già capito durante la perquisizione del modesto appartamento in cui, allo stretto necessario per la sopravvivenza, facevano eccezione solo la tanta tristezza che impregnava anche le mura e lo stereo nella stanza di Martino, un Pioneer a cinque elementi di ultima generazione.

Il racconto del barista veniva sospeso e ripreso ogni volta che entrava o usciva un nuovo cliente. E a ogni ripresa si arricchiva di nuovi particolari. Martino era un ragazzo alla mano e dal fare scherzoso che lo aveva portato ad avere ottimi rapporti con tutti i frequentatori del bar. Solo negli ultimi tempi si era trovato coinvolto in qualche accesa discussione:

«I toni si alzavano e non potevo non sentire» si era giustificato il Maresca, senza mai distogliere un occhio dall’entrata del bar.

«Guardi che non la sto sottoponendo ad un esame di etica professionale» lo rassicurò il carabiniere, «e poi quello che ci diciamo resta fra noi».

«Le discussioni erano per questioni di denaro. Martino chiedeva dei prestiti e restituiva i soldi in ritardo. Da quello che so si giustificava dicendo che doveva ancora incassare; che sarebbe rientrato e avrebbe mantenuto gli impegni presi. Chiedeva ai creditori di avere pazienza».

«Lei glieli ha mai prestati soldi al Loiodice?»

«Noo! …No, perché non me li ha mai chiesti e perché a fine mese sono già rincorso dalle mie di cambiali. Però spesso ho fatto credito alla madre… per il latte, …qualche volta le ho anticipato un chilo di zucchero che mi ha pagato appena ha potuto».

L’orario delle colazioni era passato e i clienti si erano fatti più rari. Si dovettero però interrompere di nuovo quando nel bar entrarono tre uomini per ordinare due sambuche e un “bianchino”. Il maresciallo ne approfittò per accendersi una sigaretta, nel tentativo di scacciare dalla bocca la cattiva sensazione lasciata dalla colazione. Fortunatamente i tre presero i loro bicchieri e si sedettero a un tavolino sul marciapiede, davanti all’ingresso del bar. Il Maresca è uomo intelligente e riprese il racconto con fluidità, tralasciando i pettegolezzi che sapeva non interessare al maresciallo:

«Martino Loiodice negli ultimi tempi era cambiato molto; già di primo acchito lo si vedeva dal modo di vestire».

«Cioè…» chiese il maresciallo lasciando finire la parola sul vuoto, come se sapesse che il barista aspettava solo il là per approfondire il discorso.

«Tutti eravamo abituati a vederlo con indosso sempre gli stessi panni addosso, portati un po' a cialtrone, come del resto fanno i suoi fratelli. A un certo punto, più o meno da quando sono iniziate le discussioni per i prestiti, aveva preso a vestirsi sempre più spesso in modo elegante e non era improbabile, la sera, vederlo arrivare con la giacca e la cravatta. Chiaramente questo rendeva ancora più tesi i rapporti con chi si aspettava di riavere indietro i soldi prestati». Solo allora il Caglioma si rese conto che, il giorno precedente, quando nella cucina di casa Loiodice aveva dato la notizia del decesso di Martino, aveva letto sui volti dei familiari l’immenso dolore ma non vi aveva trovato traccia di stupore.

Il Maresca si girò verso lo scaffale alle sue spalle, prese la bottiglia dell’Aperol e ne verso in due bicchieri. Nel posarne uno sul banco, mentre l’altro lo sollevava leggermente, disse:

«Offre la casa». Il Caglioma di rimando alzò l’altro bicchiere e si accorse che si era fatto quasi mezzogiorno. Era l’ora di infilare la marcia del senso pratico:

«Che altro mi può dire di interessante?»

«È fidanzato…», il Maresca si schiarì la voce e riprese: «era fidanzato con Erminia, la parrucchiera con il salone nella piazza al centro di Isolato Quarto».

C’è un momento, quando ti serve sapere le cose, che devi pigiare sul gas se vuoi che chi può raccontartele le tiri fuori. E questo il giovane maresciallo Caglioma lo aveva già imparato… solo pigiare sul gas, nient’altro:

«Vada avanti…»

«C’è un tizio, so solo che si chiama Giuliano e che ha una Volvo 740 grigia. Tempo fa aveva preso a frequentare il bar. Dopo un paio di litigi, una volta siamo andati anche alle mani, non è più entrato ma ha preso a fermarsi fuori e quando succede Martino lo raggiunge e sale sulla Volvo. Non li ho mai visti andare via insieme: stanno un po’ in macchina; poi Martino scende e il tizio se ne va».

«Isolato Quarto non è New York, anche se non ne conosce il cognome saprà chi è».

«Come dice lei Isolato Quarto non New York e le posso dire con certezza che arriva da fuori».

«Se i motivi dei suoi litigi con questo Giuliano non hanno a che fare con l’omicidio me li racconta un’altra volta. Le viene in mente altro?»

«Maresciallo, questa mattina l’hanno già vista in troppi qua dentro».

«Appunto, tanto vale che mi dica tutto», era chiaro che serviva l’ultimo incoraggiamento.

«Di recente, diciamo negli ultimi dieci giorni, so che due tipi chiedevano di lui ma nel bar non sono entrati e, prima che me lo chieda, le dico che non ho idea di chi siano».

«Glielo hanno detto o li ha visti?»

Mariano Maresca aveva già scolpito la tacca del finecorsa alle sue rilevazione e la risposta fu indiretta:

«Quello che guidava avrà avuto una trentacinquina d’anni, sul metro e settantacinque di statura; l’altro pareva più vecchio di venti anni almeno; tarchiato, spalle enormi e testa rasata. Avevano una Mercedes blu vecchio tipo con tutte le cromature tirate a lucido, non saprei dirle il modello… ha presente quelle che vengono usate per i matrimoni?» Nel pronunciare l’ultima frase incrociò per un attimo le braccia davanti a sé prima di spalancarle; contemporaneamente girò leggermente la testa verso sinistra piegandola verso il basso. Il linguaggio gestuale più chiaro di così non poteva essere: Mariano Maresca aveva rificcato lo zipillo nel tino e altre informazioni da lui non sarebbero uscite.

Il maresciallo Caglioma tornò in caserma ma, prima di salire nell’alloggio del comandante dal quale proveniva l’odore del ragù con cui avrebbe definitivamente messo una pietra sopra alla disgraziata colazione, si fermò dal piantone:

«Comandi!» quasi urlò alzandosi in piedi il carabiniere scelto Tortorella, che non si aspettava la visita del comandante.

«Comodocomodo» rispose il maresciallo, «Fammi un favore: rintraccia una ragazza di nome Erminia che fa la parrucchiera nella piazza centrale di Isolato Quarto. Domani è lunedì e sicuramente avrà la giornata libera, dille che deve venire in caserma per una deposizione».

“Ma quale lunedì e lunedì”, si rimproverò dentro di sé il Caglioma subito dopo aver pronunciato la frase: “qua si tratta di condurre le indagini su un omicidio e io mi preoccupo di conciliare gli interrogatori con il tempo libero delle persone informate”. Mentre si riprometteva di smussare la sua bontà si girò di nuovo verso il piantone:

«Ti faccio portare un piatto di pasta con il ragù di mia moglie».

 

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