QUINTO CAPITOLO - L'Iris che fa i miracoli

 

“…la competenza cercata era quella
nel non farsi troppi scrupoli…”

Le pendici delle colline alle spalle di Pasticci sono percorse, in tutte le direzioni, da una specie di sistema nervoso fatto di muri a secco. Adesso, quando ne viene giù uno che è stato in piedi per cinquecento e più anni, si dice sia stato il maltempo. Ma è sbagliato: a tirali giù è l’incuria. Se invece restano su, brevi o interminabili, curvi o dritti, verticali o inclinati che siano, costeggiano i sentieri e le strade carrarecce e vicinali. Raramente delimitano le proprietà o contengono il bestiame; più di frequente sostengono per gravità i terreni scoscesi e prendono il posto delle scarpate, aumentando al massimo la superficie coltivabile dei poderi. Costruiti dalle mani sapienti di irriconosciuti artisti, venivano mantenuti fino a qualche decennio addietro, con grazia e divinazione, dai contadini che ne conoscevano sia la resistenza che la fragilità. Per garantire la prima e scongiurare gli effetti della seconda era (e lo sarebbe ancora) necessario mantenere liberi i fori di scolo, in maniera che il drenaggio resti sempre leggero, ed estirpare le erbe selvatiche che, incuneando le radici fra le pietre, ne modificano l’assetto e ne pregiudicano la stabilità.

Dalla cima della più alta di quelle colline nasce il corso d’acqua che attraversa Pasticci. A causa della sua repentina mutabilità d’animo, legata ai cicli delle stagioni, nella classificazione morfometrica dei torrenti rientra a pieno titolo nella categoria dei mestruali. Anche a srotolarlo per interno, e misurato steso e teso, non arriva a venti chilometri dalla sorgente allo sbocco. Per la verità, definire la sua origine una sorgente, è un po’ azzardato: si tratta piuttosto di una semplice sudatura del terreno nascosta, e al tempo stesso rivelata, da una macchia di vegetazione di verde più intenso e vivo; più corposa e brillante in ogni periodo dell’anno rispetto alla vegetazione circostante. Il Grave parte da lì e scendendo raccoglie tutto quello che trova, dai rigagnoli generati dalle altre risorgive poste più a valle e molto più generose della prima, ai trabocchi degli antichi abbeveratoi e dei vecchi lavatoi. Dove non sono completamente ostruiti, raccatta anche gli sgrondi dei muri a secco e i risciacqui che rallentano la corsa dell’acqua giù per le strade bianche in pendenza, preservandole dal dilavamento e mantenendole in stato di decente percorribilità anche dopo i temporali. O almeno così era quando le cose funzionavano.

Ma, in determinati giorni, a rendere irragionevole e inaffrontabile il carattere del Grave sono le scoline dei campi che convogliano le acque piovane in canali, via via più grandi, fino a conficcargliele nei fianchi da una parte e dall’altra. Negli annali delle storia di Pasticci gli episodi drammatici, legati alle esondazioni del Grave, sono numerosi. La perdita dei capi di bestiame e la rovina dei raccolti si traducevano inevitabilmente in stagioni di carestia e fame per le famiglie dei braccianti e dei mezzadri. Pare, ma non è certo, che il nome Grave derivi proprio dalla gravità delle sue mattane, tipiche appunto dei torrenti a carattere mestruale.

Gli anni che fecero da preludio alla Seconda Guerra Mondiale costituiscono un periodo storico ingiustificabile e indegno di qualsivoglia attenuante. Pur senza alterarne il giudizio è però doveroso riconoscere che in quell’epoca, dai piedi delle colline e fino allo sfocio nel fiume, ai lati del Grave furono costruiti robusti argini capaci di tenere alla doma il suo impetuoso e imprevedibile portamento.

*****

La prima mossa del Soprassata, appena nominato vicesindaco e avocate a sé le deleghe all’Urbanistica e all’Edilizia Privata, fu quella di far installare un citofono per mettere in comunicazione diretta il magazzino degli articoli sanitari con la segreteria degli ambulatori, collocati ai piani superiori della stessa palazzina. Va da sé che l’intero costo dell’installazione gravò sulle casse comunali; d’altra parte il Ceccanti aveva rinunciato all’ufficio che gli sarebbe spettato nel Palazzo Municipale e alla segretaria. Come già era successo con la direzione del partito, anche per le cariche amministrative aveva eletto il domicilio operativo nel retrobottega della farmacia, mentre il ruolo di segretaria era toccato di diritto alla ragazza addetta alla gestione degli appuntamenti e, materialmente, alla pulizia degli ambulatori.

Nella mente vulcanica del Soprassata i piani da attuare con l’assunzione delle nuove cariche si affastellavano gli uni sugli altri e, nonostante l’entusiasmo incontenibile, sapeva che una sola legislatura non gli sarebbe bastata: dunque, la campagna elettorale per le amministrative che si sarebbero tenute cinque anni più tardi per lui era già iniziata. Al ragioniere del Comune aveva chiesto l’ammontare esatto del risparmio di cui l’Ente beneficiava grazie alle sue rinunce, poi, arrotondata per eccesso la cifra e arrotondato fino all’eccesso l’arrotondamento, aveva fatto stampare, questa volta a spese del partito, centinaia di volantini con cui rendere edotto il popolo della sua generosità. Per non entrare troppo nella sfera privata aveva omesso di far scrivere che la segretaria era già sul suo libro paga, dal momento che rientrava nel pacchetto di servizi offerti ai medici insieme alla locazione degli ambulatori e che, quindi, a lui non comportava nessun aggravio di costi. Il fatto invece di rinunciare all’ufficio gli consentiva di “lavorare” senza trascurare la farmacia.

*****

Il Grave, superata la cittadina di Pasticci, affronta rassegnato l’ultima parte di campagna che lo separa dal fiume nel quale si va a riversare. Un chilometro prima però pare avere un ripensamento e compie una svolta in direzione del mare, come se volesse lui stesso diventare fiume in conto proprio. Percorso un altro chilometro, o poco più, ci ripensa di nuovo e di nuovo cambia traiettoria, gettandosi definitivamente nell’alveo del grande fiume dall’aria fiacca che, appena qualche chilometro più a monte, esce dal lago di Parvenze. Il ripensamento del Grave, con le sue due ultime curve, disegna un fazzoletto di terra dagli angoli smussati che, visto dall’alto, sembra una grande unghia color della creta protesa fra il fiume e il torrente; un’unghia grande all’incirca centotrenta ettari. Un’unghia incolta; un’unghia di argilla ‘gnorante che la gente del posto chiama pancone e che nessuno si è mai azzardato ad usare, nemmeno per impastare i mattoni. Per sei mesi all’anno è un acquitrino impraticabile nel quale, chi ha provato ad entrarci, ci ha perso gli stivali. Gli altri sei mesi si asciuga e si spacca formando delle crepe in cui ci può sparire una gamba intera. Un’unghia di terra in cui da sempre si sono rifiutate di crescere anche le canne; uno scarto di terreno senza valore, buono solo per allevare le zanzare.

Sulla riva opposta, alla sinistra idraulica del Grave, nei secoli passati è stato accumulato tutto il materiale dragato dall’alveo del torrente nel punto di sbocco. Visto che l’operazione serviva a ridurre il pericolo di inondazioni, dopo la costruzioni degli argini non si è più ripetuta ma la montagnola di materiale di riporto, un pastone di sabbia, ghiaia e pancone, è rimasto lì, decretando l’inutilizzo e l’azzeramento di qualsiasi valore commerciale anche per quell’area.

*****

Fra i suoi compiti, la segretaria degli ambulatori, aveva anche quello di riscontrare quanti e quali, fra i pazienti dei medici inquilini del Soprassata, non fossero passati con la ricetta in mano dalla farmacia sottostante. I dottori, per quieto vivere, fornivano l’elenco delle ricette emesse senza fare grosse resistenze deontologiche; Nero Ceccanti, che non ha mai saputo cosa sia la deontologia, memorizzava i nomi di tutti coloro che si erano azzardati a comprare le medicine dalla concorrenza: prima o poi avrebbero avuto bisogno di lui e lui avrebbe saputo come regolarsi.

Finalmente la povera segretaria, dopo decine di telefonate a vuoto con la cornetta incastrata fra la clavicola e la mandibola, mentre spuntava le prescrizioni mediche da uno degli elenchi, riuscì a rintracciarlo in palestra: cercava Raimondo Pinzagli, studente storico della facoltà di architettura con due esami all’attivo e i piedi sulla soglia dei trent’anni. La disposizione (per la verità l’ordine perché il Ceccanti non dispone ma, per abitudine, ordina) era quella di convocarlo in farmacia e lui, il Pinzagli, che a parte corteggiare Mara, la più bella figliola di tutta la provincia di Parvenze, non aveva altro da fare si presentò nemmeno un’ora più tardi. I due uomini si sedettero sui grossi scatoloni bianchi con i nuovi prodotti della Chicco, scaricati nel frattempo dal camion del corriere Domenichelli e posati sul pavimento del magazzino della farmacia, in attesa che qualcuno si facesse carico di smistare la merce e la deponesse sugli scaffali giusti.

Il Soprassata come al solito fu sbrigativo e non entrò nei particolari, disse solo che Pasticci aveva bisogno di darsi una scrollata e di uscire dal torpore a cui le precedenti amministrazioni l’avevano destinata. Ma ora la musica era cambiata e lui non avrebbe posto tempo in mezzo alla realizzazione dei progetti che aveva in mente e, con i quali, avrebbe portato alla cittadina il meritato “sviluppo”. Al Pinzagli chiese se sarebbe stato interessato a ricoprire un ruolo determinante e di rilievo, per precisione di cronaca usò la parola “protagonista”, nell’attuazione dei piani di espansione e modernizzazione della città. Poi la smielata:

«Ci sono passaggi delicati che richiedono persone preparate e competenti ma anche degne della massima fiducia. Per questo ho pensato di proporlo a te prima che a ogni altro». Di Nero Ceccanti si può dire di tutto ma non certo che usi le parole a sproposito.

E anche di Raimondo Pinzagli si può dire di tutto e di più, ma non che sia stupido. Era evidente che il riferimento alla preparazione non era certo riferito ai due esami di architettura dati in nove anni di università, bensì la competenza cercata era quella nel non farsi troppi scrupoli, tipica della persone sommerse dalle ambizioni e dai sogni di ricchezza. E in questo il Soprassata aveva visto giusto: Raimondo era la persona giusta. Poi c’era stata quella marcatura sulla fiducia, dovuta sicuramente al fatto che l’eterno studente era cresciuto negli ambienti vicini al Circolo degli Azzurri di Pasticci, in particolare alla segreteria politica di Arroganza Nostrale.

Le poche volte che il padre di Raimondo aveva sollevato critiche allo stile di vita del figlio, fra esami non-dati e libri non-studiati da una parte, e le giornate intere passate bighellonando dietro alla politica e alle gonnelle dall’altra, il giovane Pinzagli aveva sempre risposto che aspettava il “momento giusto”. Che fosse finalmente arrivato?


 


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