SENSI DI COLPA

 

   Non mi interesso solitamente di questioni prettamente ecclesiastiche, benché non mi sia indifferente la valenza spirituale che una fede è capace di risvegliare in persone altrimenti schiacciate, appiattite in una dimensione totalmente materiale da cui, da sole, non sarebbero in grado di elevarsi. Quanti sarebbero in grado di affrontare dolori e sconfitte, non dico senza cadere, ma almeno rialzandosi da soli? Quanti saprebbero restare a confronto, senza un conforto, con l'idea della morte? Quanti, di fronte ad un attacco sistematico alla salute, ai diritti, alle libertà fondamentali (come abbiamo da quattro anni a questa parte), saprebbero reagire con un piano organizzato di difesa individuale e collettiva? Quanti, perciò, hanno la consapevolezza di sé e delle cose? Quanti percepiscono in se stessi il valore della storia del proprio popolo? Quanti sanno trovare da soli la via della propria evoluzione? Pochi. Le persone che non si lasciano influenzare dalla propaganda mantengono la quantità storicamente costante del dieci per cento. E non è detto che, anche a fronte di una tale capacità, preservino, in situazioni di particolare stress e vessazioni, una serenità soddisfacente. Ecco che allora le guide spirituali placano le ansie, i timori; cullano e dirigono, laddove l'individuo si trova smarrito, debole, indifeso. Cionondimeno, anche nell'uomo più razionale, così come nel guerriero più audace, resta, al fondo, l'esigenza di una ricerca del senso escatologico all'esistenza. Allora, non la Chiesa che è struttura di potere, ma semmai gli uomini e le donne di fede incarnano certamente quella dialettica necessaria ad un'evoluzione interiore. Per capirsi: parlate con un Presidente di Regione e parlate con un frate, e poi converrete con me sulla differenza umanamente qualitativa tra i due. (E La Pira è morto da tempo...)

    Detto questo, torno al dunque: in questi giorni si assiste al Sinodo 2023. Una riflessione del relatore generale, il cardinale Jean-Claude Hollerich, ha attratto la mia attenzione. Dopo un elenco dei mali del mondo – guerre, carestie, divisioni sociali, cambiamento climatico – menzionati come in una macedonia, con una indiscriminata eterogeneità, senza distinzione tra quelli derivanti da scelte sociali fallimentari (guerre e divisioni sociali, così come alcune carestie) e quelli estranei alle decisioni umane (carestie da cambiamento climatico ed eventuali disgrazie varie, come terremoti non indotti e uragani), ecco scodellata l'origine di tutto ciò: IL PECCATO! Dunque, una colpa. La ricetta, pronta e provvidenziale? La correzione dei nostri comportamenti nelle scelte quotidiane. Bene: prendiamo atto che, senza un contraddittorio su questioni scientifiche assai dibattute, per il cambiamento climatico (così come per il covid), il Vaticano ha deciso di seguire la narrazione dominante. Se anche sussistesse l'origine antropica del cambiamento climatico, si potrebbe considerare che le guerre, imperversate dagli anni Novanta nel Medio Oriente, e coincidenti con un una certa irregolarità stagionale osservabile dal 2000 circa, potrebbero essere considerate una causa di primo piano. Ma ecco che la tirata in ballo di quel "noi" generico, che fa tanto pensare al popolo delle Panda Euro 5 chiamato a modificare i propri comportamenti, con addosso la grave colpa del cambiamento climatico, fa pensare ad una Chiesa ancora una volta globalista.

    Penso così a come si ricorra al senso di colpa tutte le volte che si deve far accettare una misura indigesta di cui la gente non ha in realtà nessuna responsabilità: come non ricordare "se non ti vaccini muori e fai morire", che mai fu più falso e socialmente destabilizzante? Va da sé che nessuna persona assennata si accolla colpe che sa di non avere, ma molti soffrono del senso di colpa come di una patologia silente. Il nòcciolo è che occorrono parimenti logica e autostima per mantenere lucida l'opinione sui fatti e salda l'opinione di sé. E, ahimé, di queste doti non tutti possiedono le giuste dosi. "Non vorrai mica nuocere?" è il ricatto subdolo e infallibile con cui ottenere l'impossibile. Ovvio che chi mi sta leggendo probabilmente è immune a tutto ciò: non perché sia a-nomico, ovvero insensibile al senso di responsabilità e giustizia, ma perché è lucido, consapevole, forte.

    Tuttavia, un ulteriore ragionamento deve portarci a considerare che una schiera di politici e cittadini ha mostrato insensibilità al prossimo, accettando e fomentando la peggiore divisione sociale, introiettando non solo il senso di colpa su di sé ("se non mi inietto fo del male"), ma riversandolo con violenza sugli altri ("chi non si inietta è uno stronzo da ghettizzare"), nel totale sprezzo dell'umanità e della ragione al contempo: imbecilli che, loro sì, avrebbero fatto bene a sentire il peso del loro peccato, per tornare alla chiave religiosa. Ma come urobòri, insipienza e peccato si alimentano irrimediabilmente. Onde, da parte mia, nei numerosi casi di improvvisa dipartita di cui spesso leggiamo nelle cronache, attuo la doverosa differenza tra "obbligati" e "aguzzini", non sentendo, nel caso dei secondi, la benché minima mancanza. E, sia detto per inciso, senza il benché minimo senso di colpa.

di Sara Lunghini

 

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