DECIMO CAPITOLO - L'Iris che fa i miracoli

 


 

“…verdi come laghi alpini e spenti come la sala macchine di un relitto piombato in fondo al mare…”


Laburna è una grande città costiera con uno dei porti più importanti e trafficati del Sud Europa. Interporto invece è un suo quartiere d’entroterra dove, del mare, non arriva nemmeno l’odore… oppure arriva, ma viene immediatamente coperto dai miasmi che escono dalle ciminiere delle raffinerie, dalle esalazioni di migliaia di motori diesel in movimento e dal lezzo acre che sa di metallo, grasso lubrificante e calore da attrito mescolati assieme.

Tutte le merci scaricate dalle navi o in transito verso tutte le destinazioni del mondo, sostano e vengono cernite e sdoganate sui piazzali, nei depositi e dentro ai silos dell’interporto, collegato con il resto del mondo da un groviglio di cavalcavia a quattro corsie e da un intricato scalo ferroviario. I gabbiani che vi volano sopra possono solo essere visti; le loro grida sono cancellate, nell’attimo stesso in cui vengono emesse, dal muggito dei camion che arrancano sulle rampe degli svincoli, dallo stridore delle ruote dei treni merci in continuo movimento e dal lamento delle pulegge e dei cavi d’acciaio di un’infinità di gru che, senza sosta, sollevano e spostano i container ammassati in una distesa ordinata e a perdita d’occhio.

Interporto, inteso come quartiere residenziale, è un confusionario affastellamento di palazzi cresciuti senza tregua e senza regole, l’uno sopra l’altro a partire dagli anni sessanta fino ad oggi per soddisfare le necessità abitative, puttane comprese, legate all’aumento costante dei volumi di merci in transito dal porto di Laburna e, di conseguenza, dall’interporto. Ad accomunare Interporto, inteso come quartiere, e Isolato Quarto è il non aver meritato nemmeno l’ufficialità di un nome proprio, degno di questa definizione.

Negli anni settanta, insieme alle merci da movimentare, a Interporto crebbero anche le attività criminali, tanto da richiedere l’apertura di una Stazione dei Carabinieri dedicata al quartiere. Fortunatamente l’Arma individuò come sede una villetta ai margini della pineta, a tutt’oggi non ancora raggiunta dalla cementificazione selvaggia. A comandarla è il maresciallo Sarzana, lo stesso che aveva proceduto al fermo di Donato Mancini e consorte appena due giorni prima.

*****

La prima cosa che fece il maresciallo Caglioma la mattina di mercoledì fu chiamare il collega di Interporto. Fra i due uomini, entrambi abituati a puntare al cuore delle questioni, i preamboli furono brevi:

«Hai saputo che abbiamo avuto un morto ammazzato sulle nostre colline? Quando ci siamo sentiti per l’altra faccenda non ho avuto il tempo di dirtelo.»

«Sì, l’ho letto sul giornale. Posso aiutarti in qualche modo?»

«Può darsi. Le chiavi della macchina della vittima hanno il portachiavi della concessionaria Laburauto di Interporto.»

«Potrebbe essere stata comprata di seconda mano da un laburnese.»

«No, ho già fatto una verifica attraverso i Pubblici Registri: la richiesta di immatricolazione alla Motorizzazione di Parvenze è stata fatta proprio dalla concessionaria Alfa Romeo di Interporto a nome del mio “cliente”. Mi sto chiedendo perché uno si faccia centotrenta chilometri per comprare una macchina quando, fra Pasticci e Parvenze, di concessionarie della stessa marca ne abbiamo almeno tre e altrettante ce ne sono lungo la strada che ci separa.»

«Non ti so rispondere. Dammi il tempo di fare due chiacchiere con il titolare della concessionariae e ti richiamo se ho informazioni utili.»

Il Caglioma fornì al collega i rifermenti necessari: nome e cognome dell’intestatario; modello e numero di targa dell’autovettura. I ringraziamenti e i saluti furono ancora più brevi dei convenevoli iniziali.

La seconda cosa fu chiamare il tenente Galassi del N.o.r.m. di Oltrelago. Lo informò che aveva chiesto alla pattuglia composta dall’appuntato Tempestini e dal carabiniere Pierobon, attualmente impegnati nel controllo del territorio con un’auto di copertura con targa civile, di presenziare ad una riunione presso il suo ufficio. Lo scopo era fare un quadro aggiornato sulle indagini relative all’omicidio di sabato scorso. Come il Caglioma aveva previsto, da parte del tenente trovò la massima collaborazione; anzi, ebbe la conferma che i due militari sarebbero stati lì da lui entro mezz’ora; mezz’ora che il maresciallo usò per radunare anche i suoi uomini, gli stessi che con lui nei giorni precedenti avevano sondato nei meandri più fangosi di Isolato Quarto.

Nell’attesa, il maresciallo Caglioma ripercorse mentalmente il lavoro investigativo che avevano svolto i suoi pochi uomini in così pochi giorni e fu pervaso da un moto d’orgoglio. Senza mettere tempo in mezzo li aveva coordinati fin da subito nella ricerca di ogni possibile traccia, di ogni possibile pista da seguire senza lasciare nulla di intentato. Un paio di volte lo stesso maresciallo si era fatto vedere anche al bar Strong. Sapeva che da lì non sarebbero uscite altre informazioni, ma sapeva anche che la voce avrebbe circolato per tutto il quartiere creando nervosismo e forse sciogliendo qualche lingua. Far uscire le parole dalla bocca della gente, almeno in certi quartieri “difficili”, è come far crescere l’erba: bisogna concimare opportunamente il terreno e il Caglioma in questo, va riconosciuto, è un maestro. E per questo, già la domenica sera, dopo aver fatto il primo dei suoi passaggi al bar Strong, chiamò di nuovo Lando Faria dicendogli che, le indagini sull’omicidio di via Athos Bigongiali, avevano imboccato il sentiero giusto: serviva ancora qualche riscontro per ricostruire gli ultimi dettagli del crimine e quindi individuare i responsabili. In altre parole, ma queste non le disse perché dovevano essere il “sott’inteso” dell’articolo, chi avesse visto o sentito qualcosa tanto valeva che lo raccontasse, evitandosi il fastidio postumo della reticenza o, peggio ancora, della falsa testimonianza. Il carico da undici ce lo mise di sua spontanea volontà lo stesso caporedattore, non solo titolando sulla prima pagina della cronaca di Parvenze che l’assassino aveva le ore contate ma, addirittura, tranquillizzando i cittadini di Pasticci che potevano continuare a vivere serenamente nella loro oasi felice. Il Faria concluse l’articolo, com’era prevedibile, asserendo che si era trattato solo di una birichinata fatta con leggerezza; poco più di uno scherzo finito tragicamente.

Ogni biglietto, ricevuta e scontrino rinvenuto nell’abitazione e nell’auto della vittima era stato preso in considerazione, senza fare eccezione per tutto quello che fu reperito sui due autocarri della famiglia. Lo stesso sabato pomeriggio furono portati a sviluppare tre rullini fotografici trovati in un cassetto di casa Loiodice; due agendine furono sfogliate pagina per pagina alla ricerca di indizi o numeri telefonici sospetti e da alcune multe fu tracciata una mappa molto approssimativa degli spostamenti di Martino negli ultimi mesi. I carabinieri avevano sentito tutti i coinquilini della vittima e gli abitanti dei palazzi affacciati sul parcheggio interno a via Venezia e sulla stessa via per un lungo tratto, a cavallo dei numeri civici 9 (dal “barra A” al “barra F”). Volevano ricostruire gli ultimi spostamenti del Loiodice e, soprattutto, come e con chi si era allontanato, visto che la sua macchina era rimasta in sosta nel parcheggio condominiale.


La riunione ebbe inizio alle dieci in punto: davanti al maresciallo Caglioma, oltre ai due uomini del Nucleo Operativo Radio Mobile di Oltrelago, sedevano il brigadiere Lovasco, gli appuntati Santucci e Mantovano e il carabiniere Vandelli, tutti appartenenti alla stazione di Pasticci e tutti coinvolti direttamente nelle indagini sull’omicidio del giovane ortolano.

Il primo a prendere la parola fu lo stesso maresciallo il quale, dopo aver ringraziato i suoi collaboratori, li aggiornò con i risultati arrivati dall’Istituto di Medicina Legale e dal C.C.I.S. di Roma, il laboratorio scientifico dell’Arma dove erano stati inviati tutti i reperti da analizzare. Premise che si trattava di dati insufficienti ad aprire nuove piste ma, in seguito, sarebbero potuti diventare preziosi nel convalidare indizi trasformandoli in prove:

«A sparare è stata una Beretta calibro setteesettantacinque, pistola leggera, maneggevole, molto diffusa e facile da usare anche per una mano inesperta. Dalla salma sono stati estratti due proiettili: erano incastrati nella spina dorsale e nello sterno e questo spiega come mai, nonostante siano stati esplosi da distanza ravvicinata, non abbiamo oltrepassato il corpo. Dall’esame balistico è emerso che, le tracce lasciate dal percussore sul fondello, sono incompatibili con tutte quelle presenti negli archivi delle forze di polizia. Ciò non esclude che l’arma prima d’ora non sia stata usata da criminali conclamati, che potrebbero essersene serviti solo a scopo intimidatorio. Sui vestiti dello sventurato giovanotto sono stati isolati vari campioni di terriccio: alcuni compatibili con il luogo del ritrovamento e altri no. Dall’analisi di quest’ultimi, sono emerse tracce tutt’altro che trascurabili di paspalum, un’erba molto usata nei pochi giardinetti di Isolato Quarto per via della sua capacità di crescere anche in zone non direttamente soleggiate, tipiche di grossi agglomerati urbani formati da palazzi particolarmente alti. Anche le tracce di concime chimico e a basso costo, diffusamente utilizzato dai giardinieri per rientrare nei prezzi da fame imposti da molti amministratori di condominio, tenderebbe a localizzare lo scenario del delitto nel dedalo di Isolato Quarto. Per finire, l’anatomopatologo che ha eseguito l’autopsia, ha stabilito l’ora del decesso fra le ore venti e le ventidue della sera precedente al rinvenimento del corpo».

Sergio Caglioma, terminata la sua esposizione, guardò gli uomini che aveva davanti: come un pescatore che tira su la rete era ansioso di conoscere cosa avevano raccolto dalle voci di popolo. Per esperienza sapeva che nessuno, a Isolato Quarto, avrebbe raccontato un’intera verità ma contava sul fatto che l’immagine ricavata da una serie di tessere accostate fra loro mostrasse qualcosa di interessante. E adesso toccava a loro, agli uomini chiusi nell’ufficio del comandante, accostare tutte le tessere che avevano fra le mani.

Daniele si trattenne dal prendere la parola per primo, lasciando che a iniziare, per rispetto di grado, fosse il brigadiere Lovasco:

«Maresciallo, come sa abbiamo sentito uno ad uno tutti quelli che hanno le finestre affacciate sul parcheggio e sulla strada davanti alla casa del povero ragazzo. Come ci aspettavamo, quasi nessuno aveva visto o sentito alcunché, almeno finché un bambino non ha rotto il ghiaccio. Allora, grazie a quella breccia, abbiamo potuto fare domande più circostanziate ottenendo qualche informazione a mezza voce.»

«Vai avanti.» Il maresciallo conosceva abbastanza il Lovasco da sapere che non avrebbe sprecato un grammo di fiato per riportare cose appena meno che interessanti.

«La madre l’abbiamo incontrata sul portone della scala C del complesso di via Venezia. Ci siamo offerti di aiutarla con le borse della spesa, ne aveva una per mano più il bambino vivacissimo da gestire. Ha accettato e ci ha ringraziati ma si vedeva la preoccupazione e non si è nemmeno degnata di un sorriso. Mentre salivamo in ascensore le abbiamo chiesto se venerdì, dal dopo pranzo in poi, avesse visto qualcosa di sospetto o se ricordasse di aver visto il Loiodice uscire o entrare nel palazzo. Ha risposto con un “no” secco e assoluto, senza nemmeno prendersi il tempo di pensarci. Il bambino invece ha detto che lui sì, lo aveva visto Martino nel cortile.»

«Pensi sia attendibile?»

«Da com’è immediatamente impallidita la madre direi di sì. Nel frattempo eravamo arrivati al piano e l’ascensore si è fermato. Era evidente che la signora avesse ancora più fretta di chiudere il nostro incontro ma, per evitare che la conversazione proseguisse sul pianerottolo, ha aperto il portoncino frettolosamente spingendo dentro il bambino e anche noi siamo entrati.»

«Cos’altro vi ha detto il bambino?»

«Di aver visto Martino dal balcone parlare con dei signori arrivati con una macchina verde. La cosa interessante è che quando gli ho chiesto se Martino, dopo aver parlato con questi signori, fosse rientrato in casa o meno, mi ha risposto di non saperlo perché la mamma, nel frattempo, lo aveva richiamato dentro per cenare.»

«E questo intanto ci serve per avere un riferimento temporale: diciamo che Martino, grosso modo intorno alle venti era vivo e si trovava nel parcheggio della propria abitazione. Piuttosto, siamo sicuri che si tratti davvero del Loidice e che il bambino non lo abbia confuso per qualcun altro?»

«Direi che siamo sicuri. Come dicevo questa notizia ci ha aperto un varco nel quale abbiamo infilato la testa. I riscontri sono arrivati dopo, quando abbiamo cominciato a fare domande più circostanziate. A forza di frasi smozzicate qualcuno ha ammesso di aver visto Martino nel cortile intorno all’ora di cena; qualcun altro ricorda la macchina verde, una Dyane 6 piuttosto scalcinata. A qualcun altro ancora, che l’ha vista entrare e uscire dal parcheggio condominiale, è sembrato che a bordo ci fossero tre persone, tutte di sesso maschile. Per altri, quelle persone erano forestieri, intendendo per forestieri non abitanti di Isolato Quarto. Quello che si è esposto di più ha asserito, con una puntina di disprezzo, che si trattava di gente di Pasticci…» Prima che il brigadiere potesse proseguire nell’elencare gli spizzichi e i bocconi raccolti, fu interrotto dall’appuntato Mantovano:

«La Citroën verde sta diventando interessante» esordì appena presa la parola, tirando su di sé l’attenzione degli astanti: «un cliente del bar California, alla domanda se venerdì avesse notato qualcosa di insolito, mi ha risposto che lì non succede mai nulla di insolito; talmente nulla che a volte basta un niente per scatenare una discussione. Per farmi un esempio mi ha riferito che la settimana scorsa, davanti al bar, si è fermata una macchina come quella descritta dal brigadiere con due giovani a bordo. Uno di loro è sceso e ha chiesto qualcosa a Gaetano: dopo aver parlottato per un po’, quest’ultimo è salito anche lui sulla macchina e se ne sono andati tutti e tre insieme. E’ bastato quel fatto, considerabile insolito, a far scaturire una discussione.»

«Questo cliente è sicuro che l’episodio sia avvenuto venerdì?»

«No, ma mi ha detto che grazie a quella discussione è arrivato tardi a cena, e s’è beccato la ramanzina dalla moglie che già stava sparecchiando il tavolo.»

«L’orario tornerebbe. Gaetano chi è?»

«Un ragazzotto che abita nello stesso complesso di palazzi del morto. Più che un frequentatore direi il piantone del bar California: il sabato mattina lavora all’autolavaggio della stazione di servizio Total, ma il resto del suo tempo lo passa seduto a uno dei tavolini davanti al bar.»

«Maggiorenne?» chiese il maresciallo. Intervenne il carabiniere Vandelli, coppia fissa con il Mantovano:

«Sì, poco tempo fa l’abbiamo fermato con la moto del fratello senza rilevare nessuna irregolarità. L’età non la ricordo ma quando si tratta di moto, maresciallo lei lo sa, io non dimentico nulla: guidava una Moto Guzzi modello V35 Imola, quindi i diciott’anni li ha compiuti di sicuro.»

Prima che Daniele avesse il tempo di prendere la parola, l’altro appuntato di Pasticci, il Santucci, si ricordò di aver notato in sosta nelle vicinanze del circolo degli azzurri, e più di una volta, una vettura Citroën Dyane 6 di colore verde con i parafanghi completamente ammaccati.

Interpretando l’espressione dell’amico, il maresciallo dedusse che Daniele aveva qualcosa da aggiungere e lo tirò in ballo:

«Daniele?»

«Io e Pierobon abbiamo rivoltato come calzini i riferimenti che il Nucleo Operativo di Oltrelago ha su Isolato Quarto. Più di uno di loro ci ha parlato di discussioni che il Loiodice avrebbe avuto con due tizi: un tale di nome Filippo D’Angelo e Parisi Aldo l’altro. Sapevamo che il Loiodice aveva spesso diverbi per questioni di soldi e all’inizio non abbiamo dato il giusto peso alla cosa. In seguito, notando alcune contraddizioni in ciò che ci veniva riferito, abbiamo approfondito scoprendo che i nostri confidenti non stavano parlando della stessa circostanza, bensì di episodi diversi, pur con gli stessi protagonisti. A quel punto ci è sembrato che fosse importante capire il motivo delle discussioni. Per farlo ci siamo messi alla ricerca di qualcosa che accomunasse i due soggetti, per altro nemmeno coetanei visto che il primo ha venticinque anni e il secondo ha passato la quarantina.»

«Cosa avete trovato?»

«Niente, assolutamente niente: né un luogo frequentato da entrambi; né amici o abitudini condivise. Tranne, appunto, che insieme litigavano col nostro amico.»

«Della ragazza che pare fosse l’amante del nostro amico, come lo definisci tu, cosa siete riusciti a sapere?»

«Sembra che la Rimato sia ridotta maluccio a causa di un uso sconsiderato di droghe. Da quello che si dice in giro però Martino non era l’amante, bensì il suo fornitore e che lei, non riuscendo sempre a racimolare i soldi necessari per le dosi, lo compensava con prestazioni sessuali… cosa della quale, per altro, il nostro amico si faceva vanto.»

«Quanti anni ha la ragazza?» chiese Sergio Caglioma.

«Ventiquattro maresciallo.»

«A parte drogarsi ed essere, a detta di Erminia, l’amante del defunto, cos’altro fa nella vita?»

«L’operaia in un calzaturificio della zona industriale. Al momento maresciallo queste sono tutte le informazioni che siamo riusciti a mettere insieme. Se vuole…» Il maresciallo alzò un braccio per stoppare il discorso:

«E vi pare poco!?» Poi, meccanicamente, guardò l’orologio: erano le undici e venti minuti.

Mentre gli altri carabinieri si scambiavano considerazioni reciproche, il maresciallo Caglioma chiamò il tenente Galassi:

«Tenente, buongiorno di nuovo. Avrei da chiederle…» …ma il tenente non gli diede il tempo per terminare la richiesta:

«Maresciallo, facciamo che Tempestini e Piorobon sono alle sue dirette dipendenze fino alla risoluzione del caso. D’accordo?»

Al maresciallo non rimase che ringraziare e chiudere la conversazione. Intanto, il carabiniere Tortorella, compreso che la riunione era terminata, informò il comandante che lo aveva cercato il maresciallo Sarzana:

«Comandante ho pensato di non disturbarla; gli ho detto che lo avrebbe richiamato lei appena possibile.»

«E hai fatto bene. Però adesso non ho tempo: intanto richiamalo tu e ringrazialo; io lo farò più tardi.»

«Comandi» …e battendo gli avambracci sui fianchi, il piantone tornò alla sua scrivania nell’atrio della piccola caserma.

Erano le undici e ventidue minuti e anche l’ora di stringere il cerchio. Ma soprattutto l’ora, per il maresciallo Caglioma, di prendere in mano la situazione con determinazione:

«Lovasco e Santucci, cercate di rintracciare il proprietario di una Dyane 6 che corrisponda alla descrizione. Date la priorità a quella vista nella zona del circolo ma, se necessario, allargate le ricerche anche ai comuni limitrofi…

«…Vandelli, tu rimani qua e mettiti in contatto con il Pubblico Registro: voglio un elenco di tutti i proprietari di Citroën Dyane 6 di colore verde nel raggio, diciamo, di venti chilometri…

«…Tempestini e Piorobon: rintracciate la signorina Rimato e portatela qua appena possibile…

«…Mantovano, tu vieni con me: andiamo a fare due chiacchiere con Gaetano.»


Forse è proprio vero, come disse quell’avventore all’appuntato Mantovano, che a Isolato Quarto le giornate si inseguono una identica all’altra… o, forse, quello era il mercoledì fortunato del maresciallo Caglioma: sta di fatto che Gaetano lo rintracciarono al bar California al primo tentativo.

Il ragazzo, dapprima, tentò di convincere i carabinieri che non ricordava come avesse passato il pomeriggio del venerdì precedente. Capito che con la domanda generica non si andava da nessuna parte, il maresciallo fece un ultimo tentativo di dissuasione: 

«Gaetano, se non te la senti di parlare qui, si può andare in caserma dove nessuno ci vede e nessuno ci sente» disse con tono conciliante il Caglioma, rimanendo in attesa di una risposta che non arrivò. Poi, dopo una pausa ad effetto riprese: «Allora, ricapitoliamo: non ti ricordi di essere salito su una Citroën Dyane 6 di colore verde e con i parafanghi tutti ammaccati; non ti ricordi che a bordo c’erano altri due occupanti, oltre te; non ti ricordi che vi siete fermati nel parcheggio dei palazzi di via Venezia dove abita… anzi, abitava il povero Martino Loiodice e, scommetto, non ti ricordi che con quest’ultimo vi ci siete anche intrattenuti in conversazione. Adesso la memoria ti è tornata?»

Gaetano, nel sentire tutti quei particolari rimase spaesato, spaventato e… muto. Toccò ancora al maresciallo continuare:

«Martino Loiodice, lo conoscevi?»

«Lo vedevo qua la bar, non avevo niente a che fare con lui.»

«Chi erano i due con te sulla Citroën?» Di nuovo scena muta.

«Fra un’ora presentati in caserma, altrimenti ti veniamo a prendere a casa facendo tanto di quel chiasso che ci sente tutta Isolato Quarto. Siamo d’accordo?»

Il ragazzo annuì preoccupato mordicchiandosi nervosamente le unghie; poi, mentre i due carabinieri continuavano a fissarlo, trovò un po’ di fiato per parlare:  

«Cosa volete da me?»

«Intanto sapere chi erano i due con te su quella macchina.»

«Non lo so.»

Il maresciallo tirò un sospiro: «Gaetano, così si comincia male.»

«Io ero seduto fuori dal bar, come oggi quando siete arrivate voi. Venerdì invece arrivarono i due con la macchina verde a chiedere di Martino. Tutto qua».

«Ancora poco. Li avevi visti altre volte?»

«No.»

«Cosa volevano da Martino?»

«Non me l’hanno detto. Lo cercavano e basta.»

«E tu li hai portati da lui. Ho indovinato?»

«Esatto.»

«Di cosa hanno parlato?»

«Non lo so, non sentivo. Il motore era acceso e i finestrini posteriori non sono apribili.»

«Loiodice non è salito sulla macchina?»

«No, parlava dal finestrino del passeggero.»

«I due della Dyane però li avrai sentiti, cosa dicevano?»

«Chiedevano il fumo.»

«Allora lo vedi che qualcosa hai sentito! Poi?»

«Poi mi hanno riportato al bar e sono andati via.»

«Per adesso va bene così, ma se qualcosa di quello che ci hai detto non quadra ti torniamo a cercare».

Per Lovasco e Santucci rintracciare il proprietario della Citroën avvistata nei pressi del circolo degli azzurri non fu difficile: bastò chiederlo al gestore del bar. Quella che all’iniziò sembrò reticenza era, in realtà, solo il naturale effetto della lentezza di comprensione dell’uomo dietro al bancone. Quando finalmente capì la domanda non rispose ma si rivolse alla donna, probabilmente la moglie, che poco distante stava riempiendo con fette di mortadella panini e tranci di schiacciate:

«Come si chiama il capellone… il figlio del tesoriere?»

«Chi, Alessio? Il figlio del Pirotti?»

«Sì, lui. Come si chiama?»

Il Lovasco capì che era meglio rivolgersi direttamente alla signora dei panini:

«Signora, per cortesia sa dove potremmo trovarlo?»

«Vi posso spiegare dove abita; l’indirizzo però non lo conosco». Le indicazioni fornite dalla signora, anche senza l’indirizzo, furono sufficienti alla coppia di carabinieri per individuare la bella villetta della famiglia Pirotti. La signora dall’altra parte del citofono confermò di essere la madre di Alessio, specificando che però suo figlio, in quel momento, era allo studio del geometra Menegatto per fare il tirocinio. Poi volle sapere cos’era successo senza riuscire a nascondere l’angoscia che le stava montando. Il brigadiere Lovasco la rassicurò: stavano cercando suo figlio solo per una questione amministrativa, nulla di cui avesse ragione di preoccuparsi:

«Piuttosto signora, dov’è lo studio del geometra?»

Il maresciallo Caglioma, informato via radio, diede disposizione di convocare immediatamente il giovane geometra in caserma e, da lì, fargli chiamare la madre per non tenerla in ansia. Intanto Daniele Tempestini e Fausto Pierobon stavano portando in caserma Gabriella Rimato.

Prima di iniziare con le domande il maresciallo si fermò qualche secondo a guardare il volto di Gabriella Rimato. Mentalmente cancellò lo strato di cosmetici da quattro soldi che le impiastricciavano il viso; poi cancellò le scorie depositate dall’uso di droghe; infine cancellò lo strato di desolazione, sedimento di infinite tristezze. Sotto tutto quello che aveva rimosso non immaginava che ci avrebbe trovato un volto così bello e tenero. Poi iniziò con le domande a ritmo serrato:

«Signorina Rimato, conosceva Martino Loiodice?»

«No.»

«Nemmeno di nome?»

«No.»

«Eppure in molti dicono di avervi visti insieme. Da chi compra la droga?»

«Quale droga?»

«Quella di cui fa uso.»

«Non è vero.»

«Non è vero cosa signorina, che compra la droga o che ne fa uso?»

«L’una e l’altra.»

«Signorina, lei è convinta che noi siamo degli sprovveduti? Lei pensa che facciamo affermazioni senza prima esserci documentati? Lei è seguita o non è seguita dai Servizi Sociali a causa della sua tossicodipendenza?»

«No… sì…, no! Sono seguita dal Sert.» Il maresciallo aveva tirato a indovinare e ci aveva azzeccato.

«E allora, vogliamo ragionare da persone serie o vogliamo prenderci in giro?» Terminata la domanda, il Caglioma tornò con la mente all’immagine della faccia ripulita e bella che aveva visto poco prima. Su quel volto avrebbe voluto suscitare un sorriso e invece, sopra a tutte quelle maschere che poco prima aveva mentalmente rimosso, stava comparendo ora anche un velo di terrore. Ma era il suo mestiere e adesso non poteva mollare. Riprese: «Lo conosceva Martino Loiodice?»

«Di vista.» Subito dopo averla data la ragazza si pentì di quella risposta. Pensò che avrebbe fatto arrabbiare ancora di più il carabiniere che la stava interrogando. Invece il Caglioma cambiò discorso e atteggiamento disorientandola:

«Cosa fa nella vita?» …ma avrebbe voluto chiedere “cosa ne fa della vita?”

«Lavoro nel calzaturificio dove i suoi colleghi sono venuti a prendermi.»

«E il resto del tempo come lo passa… c’è un locale dove si ritrova con gli amici, le piace andare in discoteca… insomma, qualcosa farà oltre lavorare…»

«Mi piace leggere. Faccio quello. È vietato dalla legge?» Più il tono di Gabriella si faceva arrogante e distaccato, più quello del maresciallo diventava comprensivo e cordiale.

«Che genere di libri preferisce?»

«Tutto, escluso la fantascienza e quelli violenti.»

«Ne compra tanti?»

«Non me lo posso permettere, li prendo in biblioteca.»

«Al calzaturificio ci lavora da molto?»

«Da quando ho smesso di studiare.»

«Cosa studiava?»

«Ragioneria. Dopo la terza mio padre mi trovò lavoro in fabbrica perché avevamo problemi economici e la mia avventura di studentessa è finita lì.»

«E adesso?»

«I problemi economici? …Adesso ancora peggio!»

«Come paga la droga?»

«Con il mio stipendio.»

«Da chi la compra?» Il maresciallo aveva previsto che la ragazza avrebbe preso tempo prima di rispondere e senza attendere incalzò: «Le è mai capitato di non riuscire a pagare le dosi?» La ragazza si concesse un’altra pausa ma questa volta l’interlocutore attese senza mostrare impazienza.

«Sì». Lo sforzo che la ragazza stava facendo per trattenere le lacrime richiamò, nella mente di Sergio Caglioma, l’immagine di due pesi massimi impegnati nel tiro della fune.

«Dev’essere stato un bel problema. Come lo ha risolto?»

«Dando in cambio ninnoli che avevano un po’ di valore.»

«Roba di famiglia?»

«Roba mia: regali della Prima Comunione, della Cresima… del mio fidanzato quando le cose andavano in un altro modo… Se è questo che vuol sapere, non ho mai rubato nemmeno una mela al mercato o una gomma per cancellare in cartoleria.» Grosse lacrime adesso scavavano due solchi paralleli nello strato massiccio di fondotinta.

«Lei è fidanzata?»

«Non lo so… non lo so più.»

«Cosa intende?»

«Che tutto il mondo mi gira intorno come se non mi vedesse; senza che io riesca a fermarlo; senza che io riesca a comprenderlo.»

«Chi è il fortunato?»

«Si chiama Filippo. Alle elementari eravamo nella stessa scuola ma in classi diverse. Io non vedevo l’ora che le lezioni finissero perché tornando a casa lui mi prendeva la mano». Sulle labbra di Gabriella, bagnate dal pianto, si accese per un istante un accenno di sorriso. Poi riprese: «È come se io e Filippo fossimo nati fidanzati.»

«Filippo D’Angelo?»

«Sì». Se la ragazza rimase sorpresa riuscì a non darlo a vedere ma un brivido le percorse la schiena. Il Caglioma vide il varco e cambiò traiettoria, repentino come la lepre scarta di lato quand’è rincorsa dal lupo:

«Filippo sapeva dei suoi rapporti con il Loiodice?» La giovane fu scossa ora da un tremito di paura, ma la voglia di sfogare quello che taceva da chissà quanto era più forte di qualsiasi diga:

«Io gliel’ho sempre negato, anche davanti all’evidenza. Martino invece, con i suoi amici, andava fiero di quello che mi strappava. La gente di Isolato Quarto è piuttosto taciturna ma alla fine la voce è arrivata dove non avrebbe dovuto». Il maresciallo rimase stupito dalla capacità espressiva della ragazza, nonostante la circostanza di difficoltà psicologica in cui si trovava. Non aveva dubbi che ci fosse una discrepanza notevole, una marcata contraddizione fra gli atteggiamenti di Gabriella e lo stereotipo del tossico. Il Caglioma avrebbe voluto interrompere lì; gridare che era tutto uno scherzo; che il mondo intero è tutto uno scherzo. Ma non poteva, cazzo!; non poteva:

«Se possibile vorrei evitarle domande che la mettano in imbarazzo. Mi racconti lei del rapporto che aveva con il Loiodice. Com’è iniziato?»

«Quando sono stata costretta a lasciare la scuola per me è stato un colpo duro; non saprei dire quanto per il diploma che non avrò mai e quanto per l’inutilità dell’impegno che ci avevo messo fino a quel momento. Adesso lei mi vede così e io mi sento ancora peggio di come lei può vedermi, ma le giuro che avevo sempre riportato voti eccellenti.»

«Le credo. Vada avanti.» 

«Anche se la scelta non era stata mia, io la vissi come una sconfitta personale; come un segno indelebile di incapacità che mi sarei portata addosso per tutta la vita. Come reazione smisi di frequentare le amiche di sempre rifugiandomi nella compagnia delle nuove colleghe di lavoro: loro non sapevano niente di me; di loro non dovevo vergognarmi. E furono loro, per tirarmi su, ad invitarmi a partecipare al giro di canna che si facevano dopo pranzo, prima di riprendere il lavoro. Da lì, mi creda, è stata tutta una discesa: all’inizio mi offrirono un po’ del loro fumo per farmi uno spinello tutto mio la sera; poi mi fornirono le dritte giuste per potermelo procurare.»

«E le dritte ricevute la portarono dritta dritta da Martino Loiodice. È così?»

«Sì. Quando si accorse che il mio bisogno di fumo era sempre più forte mi propose di sniffare eroina. Due mesi fa mi sono fatta il primo buco.»

«Quello che mi ha raccontato è il suo rapporto con la droga. Avrei bisogno di conoscere meglio il suo legame con chi gliela forniva.»

«Nessun legame con lui: il legame io l’ho stretto con la droga. Senza non posso vivere. I soldi ormai mi bastano fino a metà mese o poco più e, tutto quello di prezioso che avevo da vendere, l'ho ceduto in cambio di poche dosi. E poi... è andata sempre peggio! All’inizio bastava che mi lasciassi baciare per avere in cambio la roba. Poi... poi lui... non riesco a parlarne... ma…» Gabriella cominciò a singhiozzare.

«…Ma non è necessario che me ne parli.» Il Caglioma cambiò di nuovo direzione senza avvisaglie: «Conosce Aldo Parisi?» La ragazza spalancò la bocca e quasi gli occhi, verdi come laghi alpini e spenti come la sala macchine di un relitto piombato in fondo al mare, le uscirono dalle orbite:

«È mio fratello!» Notò lo stupore del maresciallo e precisò: «mia madre lo ha avuto prima del matrimonio e porta il suo cognome.»

Ci sarebbero stati altri approfondimenti che il maresciallo avrebbe voluto fare, ma valutò che non avrebbero giovato così tanto alle indagini da giustificare un ulteriore stress alla ragazza, già fin troppo provata. Sergio Caglioma si limitò a chiederle, mostrando noncuranza, che lavoro facessero Filippo e suo fratello; poi la ringraziò e si scusò di avere invaso la sua sfera privata:

«I miei uomini l’accompagneranno a prendere qualcosa, immagino che a quest’ora avrà fame. Poi decida lei se preferisce farsi riportare a lavoro o a casa.»

Il maresciallo Caglioma, per quel giorno, invece aveva già messo in conto di saltarlo il pranzo. Prima di passare ad interrogare Alessio Pirotti diede nuove disposizioni ai suoi uomini che lo attendevano nell’ufficio del brigadiere. Avrebbe voluto aggiornarli con quanto emerso dalla deposizione della ragazza ma non ce n’era il tempo:

«Lovasco, voi rintracciate Filippo D’Angelo, fa il magazziniere al negozio Prony, e seguite ogni suo spostamento. Non ci sono indizi a suo carico, almeno per il momento, quindi totale discrezione e, soprattutto, non intervenite in nessun modo senza la mia autorizzazione. Per poterlo riconoscere passate prima dall’Anagrafe del Comune e fatevi consegnare la foto tessera allegata al fascicolo della sua Carta d’Identità.» Poi si rivolse all’appuntato Mantovano: «Stesso discorso per te e Vandelli: appostatevi alle calcagna di Aldo Parisi, sempre senza intervenire: a quest’ora dovreste trovarlo alla falegnameria Il Tabuto. Il brigadiere Lovasco per il momento è il vostro riferimento e il coordinatore dell’operazione.» Infine si rivolse alla coppia Tempestini e Pierobon: «Nel mio ufficio vi sta aspettando la signorina Rimato. Portatela a prendere qualcosa ma non credo che avrà fame: non fate i taccagni; vi rimborserò di tasca mia. Poi riaccompagnatela a lavoro o a casa, come preferisce. Appena compiuta la missione vi mettete pure voi ai comandi del brigadiere per darvi i cambi nella sorveglianza.»

Il maresciallo attese che Gabriella Rimato avesse percorso tutto il corridoio della caserma per evitare che si incontrasse con il proprietario della Dyane 6. Poi, dalla linea interna, chiamò il piantone:

«Per favore, accompagna da me il signor Pirotti, sta candendo in sala d’attesa da un bel po’.»

«Comandi.»

Nemmeno trenta secondi dopo il giovane, accompagnato dal carabiniere Tortorella, entrò nell’ufficio del comandante. Aveva i capelli legati a coda di cavallo e, appesa per un capo alla cintura dei blue jeans fintamente strappati e al portafogli dall’altro, gli pendeva una catena a maglie grosse. La faccia aperta era macchiata dalla preoccupazione e dalla curiosità:

«Buongiorno maresciallo» proferì porgendo la mano e un sorriso forzato.

«Buongiorno a lei e scusi per l’attesa. Vado subito al dunque perché temo che non potrò dedicarle molto tempo. Lei è il proprietario di una Citroën Dyane 6 di colore verde?»

«La Ranocchia? Sì è la mia. Mi rendo conto... l’aspetto fa pensare male ma la revisione e tutto il resto è a posto…»

«…Le credo sulla parola. Venerdì a fine pomeriggio era lei in giro per Isolato Quarto?» Il geometra era sicuro di averla fatta coperta e invece solo ora si rese conto che la faccenda era seria. Aveva saputo dell’omicidio del pusher, ma non avrebbe mai pensato che qualcuno lo potesse collegare a quel brutto episodio. Senza alcun accenno di reticenza ammise che sì, il venerdì precedente era stato a Isolato Quarto con la Ranocchia. Ammise anche di esserci andato per comprare un po’ di fumo; ci tenne solo a specificare che si trattava di uso personale: suo e del suo amico. Avevano iniziato a servirsi dal Loiodice da poco tempo: glielo avevano raccomandato alcuni compagni di palestra perché aveva roba buona e a un prezzo un po’ più basso rispetto alla concorrenza…

«No, con Martino, a parte l’averci comprato il fumo tre o quattro volte negli ultimi sei mesi, non ho mai avuto nient’altro a che fare. E nemmeno il mio amico che era con me, ne sono certo.»

«Dove vi incontravate con il Loiodice?»

«Lo avevamo sempre trovato al bar California, almeno fino alla volta precedente.»

«E Gaetano?» Chiese il maresciallo.

«Gaetano, chi?» fu la risposta-domanda del giovane. Gaetano aveva detto la verità: i due arrivati da Pasticci per comprare il fumo non li conosceva davvero.

«Il ragazzo che vi ha accompagnato dal Loiodice.»

«Era seduto fuori dal bar. Quando abbiamo capito che Martino non c’era gli abbiamo chiesto se sapeva dove potevamo trovarlo. Alla nostra domanda ha risposto che doveva andare proprio dove, a quell’ora, potevamo trovare Martino e ci ha accompagnati da lui. Quando siamo arrivati nel parcheggio interno ad una serie di palazzi, lo abbiamo trovato intento a lucidare un’Alfa 33 grigio argento. Il ragazzo ci aveva appunto detto che lo avremmo trovato lì perché tutti i venerdì, per lui, la pulizia della macchina è un rituale imprescindibile.»

«Avete atteso con il motore acceso?»

«Sì, non si sa mai.»

«Si ricorda l’orario?»

«Con precisione no. Sicuramente non prima delle otto di sera perché ci eravamo dati appuntamento con altri amici in pizzeria alle venti e trenta e siamo arrivati tardi.» 

«Poi cos’è successo nel parcheggio dopo aver rintracciato il Loiodice?»

«Abbiamo contrattato il prezzo per un po’; ho avuto la sensazione che il Loiodice più di strappare un prezzo alto volesse tirare per le lunghe la trattativa. Noi invece non siamo consumatori abitudinari e certe circostanze ci creano sempre un po’ di tensione. Alla fine abbiamo pagato più di quello che avremmo voluto e siamo ripartiti.»

«E avete riaccompagnato Gaetano al bar.»

«No, Gaetano è sceso nel parcheggio dove abbiamo comprato il fumo.» Il maresciallo Caglioma saltò su tutte le furie… poi spiegò al giovane della Ranocchia che non ce l’aveva con lui; anzi, la sua collaborazione si stava rivelando preziosa per le indagini. Ma aveva ancora un’ultima domanda:

«Conosce Filippo D’Angelo?»

«No.»

«E Aldo Parisi?»

«Nemmeno.»

Altro il maresciallo non aveva da chiedergli o, almeno, non subito. Lo salutò frettolosamente ricordandogli che il fumo fa male e invitandolo a dirlo anche al suo amico. Poi chiamò Tortorella:

«Per favore accompagna il signore ma prima che se ne vada fatti lasciare generalità e recapiti, suoi e del suo amico, e dove possiamo rintracciarli se avessimo bisogno di loro.» Poi, rivolgendosi di nuovo al Pirotti:

«Nei prossimi giorni, per cortesia, se decidesse di allontanarsi, che ne so, per una vacanza, ci avverta prima di partire. D’accordo?»

Appena uscito Alessio Pirotti dal suo ufficio, il maresciallo Caglioma si mise in contatto radio con l’appuntato Tempestini chiedendogli di chiamarlo, appena possibile, da un telefono pubblico:

«Daniele, l’auto che avete in prestito dalla Compagnia che modello è?»

«Un’Alfa 75».

«Ha la trazione posteriore, giusto?»

«Sì».

«Allora, appena avrete accompagnato la Rimato a casa, fai un bel regalo a Fausto: è autorizzato ad accendere tutte le sirene di questo mondo e ad irrompere dentro Isolato Quarto come una furia. Anche se quasi sicuramente adesso è al bar, voglio che andiate a cercare Gaetano a casa. Poi, riattaccate la musica, e correte a prenderlo al bar California. Io vi aspetto qua… e voglio sentirvi arrivare con la musica accesa. Il resto te lo spiego più tardi.»

All’appuntato non rimase che eseguire: alle ore sedici, minuto più, minuto meno, Gaetano era seduto davanti al maresciallo con il Tempestini e il Pierobon in piedi ai suoi lati. La sua faccia, ora bianca come la bandiera della resa, aveva perso completamente il piglio del bullo. Il Caglioma invece, senza doversi sforzare, ci teneva a far apparire sul suo volto l’espressione incazzata e i colori delle fiamme dell’Inferno:

«Gaetano, venerdì pomeriggio, diciamo alle ore venti o poco più tardi, cos’hai fatto nel parcheggio del condominio dove abitava il povero Martino Loiodice?»

«Voglio l’avvocato d’ufficio.»

«L’avvocato d’ufficio non lo hai ancora vinto perché scendere da una Dyane 6, nel parcheggio del condominio dove si abita, non è considerato reato. Però sei sulla strada giusta: La reticenza e la falsa testimonianza lo sono. C’è qualcosa che vorresti cambiare in quello che ci hai raccontato quattro ore fa?»

Il ragazzo rispose di no ma, in lui, non c’era più traccia di tracotanza. Il maresciallo continuò ad incalzarlo in maniera che fosse chiaro che non credeva al finale della precedente deposizione:

«Allora, le correzioni le faccio io. Se sbaglio mi correggi tu, ok?» Gaetano annuì senza parlare; Sergio Caglioma proseguì: «Ripartiamo da quando siete arrivati nel parcheggio: Martino Loiodice stava pulendo la sua Alfa come ogni venerdì pomeriggio: un rituale!» Breve pausa e riprese: «tu sei rimasto a bordo della Citroën fino alla fine della trattativa: probabilmente ti spetta un riconoscimento quando favorisci le vendite e non volevi farti fregare.» Il maresciallo diede di nuovo il tempo a Gaetano di intervenire ma quest’ultimo non lo fece. «Finita la transazione tu sei sceso e i due ragazzi arrivati da fuori se ne sono andati. L’Alfa 33 di Martino era parcheggiata sul lato del piazzale vicino alla scala E, mentre tu abiti alla scala B: esattamente dalla parte opposta. Mentre attraversavi a piedi tutto il cortile è successo qualcosa di cui ci vorresti parlare ma non ti vengono le parole». Il Caglioma si prese il tempo di accendersi una sigaretta in tutta calma, poi, soffiato in alto il fumo della prima tirata, calò il carico: «Fra poco io e i miei colleghi dobbiamo uscire e allora, o le parole ti vengono fuori subito o, siccome in giro per la caserma da solo non possiamo lasciarti, ci aspetti in camera di sicurezza. In tal caso, al nostro ritorno, ti spetta l’avvocato d’ufficio. A te la scelta». La scelta non c’era. Gaetano prese fiato:

«Mentre Martino radunava le cose usate per la pulizia, è arrivata un’altra macchina dalla quale sono scese due persone e si sono messi tutti a litigare.»

«Litigavano come?»

«Di brutto.»

«E tu, che hai fatto?»

«Pensavo che andassero alle mani e per curiosità sono rimasto a guardare da dentro il portone del mio palazzo.»

«Hai capito di cosa discutevano?»

«No, ero lontano e avevo chiuso il portone.»

«Quindi?»

«Quindi hanno discusso per qualche minuto poi sono andati via.»

«E Martino cos’ha fatto?»

«È andato con loro.»

«È salito sulla loro auto?»

«Sì.»

«Lo ha fatto volontariamente o hai avuto la sensazione che lo abbiano in qualche modo dovuto convincere?»

«Ce lo hanno spinto.»

«Chi erano?»

«Non lo so.»

«Saresti in grado di riconoscerli?»

«No, ero troppo lontano.»

«Che età potevano avere?»

«Non lo so… un uomo e un ragazzo.»

«Descrivi l’auto… modello, colore, …se aveva qualche adesivo, ammaccatura o qualsiasi altra cosa che la renda riconoscibile.»

«Era una Fiat 127 vecchio modello, colore rosso bordeaux.»

«Che direzione hanno preso quando sono usciti dal parcheggio?»

«Non lo so, dall’androne del mio condominio non si vede l’uscita del parcheggio.»

«Che fine hanno fatto le cose che Martino stava radunando quando sono arrivati i due uomini?»

«Lì per lì sono rimaste a terra vicino all’auto. Quando sono uscito dopo cena erano sparite.»

«Hai detto a qualcuno quello che hai raccontato a noi?» A Gaetano la domanda sembrò assurda, al limite dello stupido. Rispose con la convinzione che quei carabinieri non conoscevano per nulla Isolato Quarto:

«No.» 

L’ultima monosillaba pronunciata da Gaetano, per il maresciallo Caglioma, era così scontata che non l'ascoltò neppure. Stava pensando che a volte, la dinamica degli eventi, sottostà alle stesse regole che disciplinano il comportamento di un fluido mentre passa attraverso una strozzatura. Continuando a guardare il ragazzo, ma senza vederlo, raffigurò davanti a sé i quattro giorni di indagini come un imbuto riempito fino all’orlo di liquido torbido e denso. All’inizio la sostanza viscosa scendeva così piano da sembrare ferma; poi aveva lentamente aumentato velocità e adesso, che il livello aveva quasi raggiunto il punto di congiunzione fra il tronco di cono e il beccuccio, formava un gorgo in cui spariva sempre più velocemente.

L’immagine dell’imbuto regalò al maresciallo la conferma che il lavoro svolto era stato buono, ma anche la consapevolezza, rappresentata dal gorgo, che quello non era certo il momento per star sull’albero a cantare, bensì quello di infilare la marcia lunga e cambiare l’andatura. Mentalmente analizzò le risorse di cui disponeva concludendo che gli consentivano di percorrere due strade: quella più lunga che segue l’iter investigativo da manuale e quella incerta dell’istinto.

Al personale impegnato nelle indagini sull’omicidio Loiodice, da quasi tre ore si erano sovrapposti i colleghi montati sul turno pomeridiano. Il comandante ne approfittò per ordinare a due di quest’ultimi di mettersi immediatamente in contatto con gli archivi automobilistici di Parvenze e stilare, rispettivamente, l’elenco di tutte le auto intestate ai membri delle famiglie di Filippo D’Angelo e Aldo Parisi, nonché quello di tutte le Fiat 127, vecchio modello e di coloro rosso bordeaux, presenti sul territorio di Pasticci e Oltrelago. Poi concluse:

«Io adesso esco; se fra i familiari dei due trovate un’auto con le caratteristiche che vi ho detto contattatemi subito. Tutto chiaro?» Lo era: poteva uscire…

…Uscire sì, ma prima contattò i due equipaggi impegnati a vigilare le mosse del fratello e del fidanzato di Gabriella Rimato, cambiando loro le disposizioni impartite: appena intercettati dovevano fermarli e accompagnarli in caserma. Si raccomandò solo di farlo con il minimo sconquasso e usando la massima delicatezza e riservatezza. Stette anche attento a non pronunciare mai la parola sospettati, benché nella sua mente ormai i due cognati li identificasse come tali…

…Tali e quali a come si erano svolti, e prestando sempre attenzione a non citare la parola sospettati, in una lunga conversazione telefonica raccontò le ultime evoluzioni investigative al magistrato di turno…

…Di turno di sorveglianza lo erano ormai da diverse ore, rispettivamente davanti al cancello della falegnameria Il Tabuto e al grosso portone carrabile sul retro del grande magazzino Prony, le pattuglie comandate rispettivamente dal Lovasco e dal Mantovano, tanto da meritare un avvicendamento per potersi ristorare. Per questo, il programma del maresciallo Caglioma, prevedeva di raggiungerle, insieme al Tempestini e al Pierobon, prima una e poi l’altra. Ma la selettiva della radio dell’Alfa 75 presa in prestito dalla Compagnia di Parvenze suonò prima…

…Prima ancora di sollevare la cornetta, il maresciallo Caglioma immaginò che uno dei cognati fosse stato fermato. Infatti, a chiamare, era l’appuntato Mantovano: Aldo Parisi lo avevano bloccato appena uscito dalla falegnameria; in quel momento lo stavano trasferendo in caserma. La notizia impose un cambio di programma; il cambio di programma impose un’inversione di marcia; l’inversione di marcia fu l’occasione per il Pierobon di far urlare le gomme sull’asfalto caldo di metà giugno e avrebbe anche acceso la sirena, per la quarta volta nella stessa giornata il Mangiapolenta se, nel frattempo, la selettiva della radio non avesse suonato di nuovo…

…Di nuovo altra inversione; altra sgommata e, per la seconda volta, altra irruzione senza limiti di chiasso nel cuore di Isolato Quarto. A contattare il maresciallo, questa volta, era stato il carabiniere Tortorella dalla caserma, il quale riferiva che una Fiat 127 di colore bordeaux risultava essere intestata a tal Sebastiano D’Angelo, padre, come già verificato attraverso l’ufficio demografico del Comune, del ricercato Filippo. Il Caglioma precisò che al momento non c’era alcun ricercato ma, in sé, si disse che l’appellativo di sospettato ormai ci stava…


…Stava nel suo letto il signor Sebastiano, non aspettandosi certo di essere svegliato dal suono di una sirena bitonale, andata a spegnersi proprio sotto la finestra della sua camera. Tanto meno si aspettava che quella sirena fosse lì per lui, almeno finché non gli suonarono il campanello. Sul principio pensò che si trattasse di qualcosa legato al suo mestiere di guardia giurata ma, le facce troppo torve dei due carabinieri che avevano bussato alla sua porta, non erano quelle di chi cerca collaborazione, infatti…

…Infatti, cercavano altro e qualcosa lo trovarono: l’auto era parcheggiata sotto casa, come al solito; la pistola, una Smith & Wesson calibro 22, invece era custodita al suo posto, nella cassetta blindata:

«Gliel’ho già detto maresciallo, in questa casa altre pistole non ci sono». Il D’angelo, mentre parlava, rovistava dentro ad un cassetto in cerca dei documenti attestanti la regolarità dell’arma e della sua detenzione.

«Lasci stare signor D’Angelo, questo semmai lo verificheremo un’altra volta. Lei ha una Fiat 127 di colore bordeaux, giusto?» Senza attendere la risposta il Caglioma riprese: «venerdì sera, probabilmente utilizzando un’auto simile alla sua, è stato commesso un grave reato e io ho il dovere di non tralasciare niente. Potrebbe accompagnarci a dare un’occhiata alla macchina?» Il maresciallo osservò minuziosamente ogni minima reazione dell’uomo senza rilevare alcun cenno di preoccupazione; tuttalpiù era preso da un misto di sbalordimento, curiosità e sorpresa. Quando arrivarono nel parcheggio il Pierobon, che era rimasto ad attenderli sull’auto di servizio, cercò lo sguardo del comandante, il quale capì al volo e lo raggiunse in disparte:

«Maresciallo, mi hanno comunicato dalla Centrale Operativa che il brigadiere Lovasco e l’appuntato Santucci stanno accompagnando in caserma Filippo D’Angelo». Non era una domanda e non richiedeva una risposta: il maresciallo ne prese atto. Mentre Daniele Tempestini apriva portiere e cofani della 127, le domande continuò a farle il Caglioma:

«Signor D’Angelo, venerdì sera l’autovettura ce l’aveva lei?»

«No, io la sera vado a lavoro con la macchina di servizio.»

«A che ora prende servizio?»

«Alle dieci di sera.»

«E venerdì, quando lei è uscito di casa, la sua auto era nel parcheggio?»

«Non ci ho fatto caso. E’ l’unica auto di famiglia e l’usiamo un po’ tutti.»

«Compreso suo figlio Filippo?»

«La sera è sua, guai a chi gliela tocca!» Il maresciallo continuava a tenere sotto stretta osservazione ogni reazione istintiva del D’Angelo: anche questa risposta gli sembrò data con sincerità e senza protezioni, addirittura accompagnata da un piccolo sorriso d’orgoglio, forse per quel figlio volenteroso che, oltre a lavorare, aveva un’attiva vita sociale.

Il Tempestini, attento a non toccare niente, continuava ad ispezionare l’automobile:

«Maresciallo…» …e non aggiunse altro, voleva solo attirare l’attenzione del suo superiore; appena l’ebbe avuta indicò il cric. Tutto il resto del vano motore era incrostato da depositi di polvere e untuosità, mischiati insieme a formare uno strato uniforme che ricopriva ogni organo meccanico e ogni lamierato; compresa la batteria e la ruota di scorta. L’unica eccezione era il cric: lucido come appena uscito dalla fabbrica.

«Signor D’Angelo, ha forato di recente?» chiese il Caglioma indicando il cric.

«No, almeno che io sappia, perché?»

«Non sembra anche a lei che il cric sia un po’ troppo pulito rispetto a tutto il resto?» Sebastiano D’Angelo non rispose, ma si vedeva che stava cercando una risposta che non sapeva trovare.

La prima reazione involontaria della guardia giurata fu un ballettare di sopracciglio, appena percepibile, ma che non sfuggì al maresciallo. Lo ebbe quando guardarono dentro al cofano posteriore:

«Credo di non aver mai visto un bagagliaio così ordinato e pulito» osservò il Tempestini; il D’Angelo non osservò nulla e il maresciallo osservò lo stupore di quest’ultimo…

…Quest’ultimo, ovvero il D’Angelo al quale avevano smesso di uscire le parole dalla bocca, usò il linguaggio involontario della mimica facciale per implorare spiegazioni. E il maresciallo gliele diede:

«Signor D’Angelo, mi sono fatto un’idea tutta mia di cosa posa essere successo venerdì sera e di come, la sua auto, possa essere coinvolta. Suo figlio Filippo in questo momento è in caserma; appena potrò parlarci magari ci darà una spiegazione plausibile su come fa un cric, in un cofano lercio di morchia, a rimanere pulito. E magari ci spiega anche perché ha fatto le pulizie di primavera nel bagagliaio. Ho notato che anche lei ne è rimasto stupito o mi sbaglio?»

«In effetti… non saprei…».

«Intanto, tutto quello che posso dirle con certezza, è che la sua macchina la poniamo sotto sequestro. Il mio collega ha già provveduto a richiedere l’invio di un carroattrezzi che la traini nel cortile del Nucleo Operativo di Oltrelago. Là procederemo con ulteriori accertamenti…» 

…Accertamenti che furono eseguiti, su richiesta del tenente Galassi e con la massima tempestività dal Gabinetto di Polizia Scientifica di Parvenze. A Pasticci, nel frattempo, il maresciallo Caglioma, dopo essersi confrontato di nuovo con il magistrato, rese edotti i due fermati del motivo per cui si trovavano lì e che, tecnicamente, quel tipo di ospitalità prende il nome di “Stato di fermo”. Se avevano qualcosa da dire, lui era lì per ascoltarli. Concluse dicendogli che quello era lo stato dei fatti…

…Fatti salvi nuovi fattori che potevano emergere dalle analisi in corso; dal ritrovamento della pistola o da una confessione spontanea, il magistrato era stato chiaro: allo stato attuale gli elementi per tramutare il fermo in arresto non sono sufficienti. Carabiniere e giudice, concordemente, si diedero tempo fino alle dodici del giorno successivo per fare di nuovo il punto della situazione…

«…Il punto della situazione», disse il Caglioma ai suoi uomini prima di concedergli il giusto riposo, «è che Aldo Parisi e Filippo D’angelo, attualmente sono sospettati, se non di essere gli assassini, quantomeno di essere coinvolti in maniera seria e determinate nell’omicidio. Per completare una ricostruzione attendibile del delitto però ci manca ancora un elemento importante: la pistola». Daniele Tempestini alzò istintivamente la mano per chiedere la parola:

«Maresciallo, dalla ricostruzione che abbiamo fatto, il delitto si è consumato a Isolato Quarto e solo in un secondo momento il corpo sarebbe stato trasportato in collina. Possibile che nessuno abbia sentito gli spari?»

«Li hanno sentiti eccome Daniele; ma nessuno ce l’ha detto. Pensa alla discussione avuta fra Martino Loiodice e i suoi presunti assassini di cui ci ha riferito Gaetano: è avvenuta dopo le otto di sera, in una giornata di caldo afoso, in un cortile interno a ben sei condomini dove gli abitanti stavano cenando con le finestre aperte» Nell’elencarli il maresciallo contò vistosamente i tre elementi sulle punte di altrettante dita. Poi concluse: «In quanti l’avranno sentito quel litigio? Eppure, se la scintilla non fosse scoccata dalla bocca innocente di un bambino, noi non avremmo saputo nulla.»

«Su questo sono d’accordo anch’io» intervenne il Lovasco, «ciò nonostante, al loro posto, avrei evitato lo stesso di fare tanto chiasso con la pistola dopo avergli inferto il colpo con il cric.»

«Giusto, però dall’esame autoptico è emerso che il colpo alla base cranica ha provocato la perdita dei sensi ma non la morte immediata della vittima. Può darsi che il Loidice, una volta a terra, sia stato scosso da spasmi spontanei ai quali l’assassino ha reagito sparando. Non dimentichiamoci che i nostri sospettati non sono dei delinquenti professionisti, ma che hanno agito in preda alla rabbia. Avete provato ad immaginarvi quale poteva essere il loro stato d’animo in quel momento?» La frase del maresciallo finiva con il punto interrogativo ma non era una domanda, bensì un’esortazione a riflettere lasciata cadere fra le righe…

…Le righe potevano essere sciolte: i riscontri dalla Polizia Scientifica non sarebbero arrivati prima dell’indomani mattina; una confessione spontanea, da parte dei cognati, era inutile aspettarsela senza un’adeguata acclimatazione nelle uniche due camere di sicurezza di cui è dotata la Stazione dei Carabinieri di Pasticci; le formalità di rito erano state espletate ed entrambi i fermati avevano accettato, nel proclamarsi completamente estranei ai fatti, l’assistenza dell’avvocato d’ufficio in attesa del quale non era possibile procedere all’interrogatorio contro la volontà degli interessati. Infine la pistola: cercarla con gli elementi che avevano in mano sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio e non era cosa…

…Cosa rimaneva da fare? Al maresciallo Caglioma due cose. La prima fu dare disposizione al personale presente in caserma di chiamarlo, in qualsiasi momento e a qualsiasi ora, se uno dei due ospiti avesse chiesto di parlargli. La seconda fu telefonare al maresciallo Cesare Sarzana, principalmente per chiedere scusa…

«…Ti chiedo scusa Cesare, la giornata è stata convulsa. Hai qualche informazione riguardo alla concessionaria?»

«Ho parlato con il titolare. Su due piedi, il nome Martino Loiodice non gli diceva niente. Poi, controllando gli incartamenti, ha ricollegato i dati ad una vendita piuttosto insolita tanto da essergli rimasta impressa con chiarezza nella memoria. Tanto per cominciare al Loiodice fu consegnata la prima vettura disponibile nella nuova versione Millessette Quadrifoglio Verde, non solo molto attesa sul mercato ma anche la più costosa della gamma. Il venditore si aspettava di fare un buon affare, ma non fu così e non solo perché l’acquirente pretese, in omaggio, il montaggio di un vistoso alettone sul portellone posteriore; e nemmeno tanto perché dovette venire alla Motorizzazione di Parvenze per l’immatricolazione.»

«E perché allora?»

«Perché il Loiodice, con lo scopo di ottenere uno sconto esagerato, si presentò accompagnato da Giuliano Bondio. E, ovviamente, lo ottenne.»

«Chi è Giuliano Bondio?»

«Ufficialmente un dipendente dell’azienda di trasporto pubblico di Laburna; in concreto il braccio destro del nostro amico Donato Mancini.»

«Per caso, questo Giuliano ha una Volvo 740 di colore grigio?»

«Sì.»

«Allora penso che noi due dovremo passare un po’ di tempo insieme.»

«Con piacere…» e Cesare Sarzana, uomo di buona compagnia, ne approfittò per unire l’utile al dilettevole: «un carissimo amico, rientrato pochi giorni fa dall’Honduras, mi ha regalato due Camacho Criollo Monarca e cercavo giusto un compagnone con cui valesse la pena fumarli.»

«Affare fatto: mi presenterò con una bottiglia all’altezza della situazione.»


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