UNDICESIMO CAPITOLO - L'Iris che fa i miracoli

 

“…«In teoria», precisò il Pinzagli…”

 

Disegno di Giacomo Carletti

Le incertezze sono la gramigna della vita; questo è certo com’è certo che le certezze son rare come i can gialli. E certo è che, in quella mezza settimana di metà giugno del millenovecentonovanta, e in quel di Pasticci, a darsi un gran daffare non furono solo il Maresciallo Caglioma e i suoi uomini. Anche il Soprassata e L’Ingegnere se lo stavano dando, insieme al piccolo nugolo di affaristi, faccendieri e politicanti in erba che avevano preso a svolazzargli intorno.

L’uscita della notizia, sul giornale del giorno precedente, aveva reso di dominio pubblico la nuova destinazione dei terreni in costa allo sbocco del Grave nel fiume principale. D’altronde, gli artefici dell’innovazione non avevano più motivo di tenerla nascosta. E anche loro, almeno per quella prima fase della loro pensata, potevano uscire dalla traccia dentro la quale avevano operato in sordina fino a quel momento.

L’appuntamento se lo erano dato per le dieci del mattino e ciò, per qualcuno, volle dire fare una levataccia: primo fra tutti per Raimondo Pinzagli che, pur abitando a nemmeno un quarto d’ora di macchina, la sera precedente e per sicurezza aveva dovuto puntare la sveglia su un orario per lui del tutto insolito. Come luogo per il ritrovo era stata scelta l’edicola religiosa, quella posta al margine della strada vicinale che costeggia il Grave fino al punto in cui devia per formare la famosa unghia. Lo stradello invece no; prosegue fino all’argine del grande fiume, inarcandosi leggermente verso l’esterno in modo tale da disegnare, senza saperlo e nemmeno volerlo, la cuticola dell’unghia stessa e a metà della quale, appunto, si trova il tabernacolo raffigurante la Madonna detta Del Pungitopo per via del mazzetto che, l’anonimo pittore, le dipinse fra le mani e che nessuno aveva mai cagato fino ad allora.

La piccola adunata di uomini grigi vista da fuori sembrava una nuvola minacciosa: grigi erano i loro vestiti in piega, i loro capelli aggiustati e anche le loro facce scorbutiche. Alcuni di loro erano arrivati dall’orribile palazzo con le gabbiette per il freddo appese ai davanzali; altri dalla Parvenze che conta e, altri ancora, erano scesi da grosse berline, rigorosamente di sana e robusta costituzione tedesca, targate Ro-Ma, dove “Ro” sta per roccaforte e “Ma” per un’altra cosa di cui adesso non mi viene il nome.

Gli uomini arrivati da vicino parlarono per primi. Alcuni di loro srotolarono sui cofani delle auto grandi lenzuola di carta riempite di disegni. Altri, mentre i primi continuavano a tenerle perché non volassero via o si riavvolgessero su se stesse, indicavano prima dei punti sulla carta e poi sul terreno. Nero Ceccanti interruppe l’architetto del Comune per puntualizzare che il tabernacolo con la Madonna Del Pungitopo costituirà il centro esatto della futura rotatoria, svincolo principale per l’accesso a Unghiano. Questo per far notare ai presenti quanto l’Amministrazione fosse sensibile al rispetto dell’esistente e alla salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali narranti la storia e le radici di Pasticci.

Dopo toccò parlare agli uomini grigi arrivati da lontano. Seri si rivolsero ai primi che ascoltarono attentamente e che, mentre ascoltavano, con la testa facevano su e giù… e ancora su e giù e su e giù… per dire sempre sì.

Poi andarono via tutti e arrivarono altri uomini ancora. Quest’ultimi, con le gambe dentro a pantaloni di velluto a coste larghe nonostante il caldo, si misero a scrutare di qua e di là, e di nuovo di su e di giù, guardando dentro una specie di imbuto ricoperto di ruzzoline. Per giorni fecero girare quell’imbuto sopra un treppiede come fosse una trottola. Infine anche loro se ne andarono ma, prima di farlo, tracciarono dei segni col gesso e infissero nel terreno dei paletti tinti di rosso.

******

«E’ tutto pronto ma noi dobbiamo star qui ad aspettare i comodi degli apparati istituzionali!» si sfogò il Soprassata appena ritornato nel retrobottega della sua farmacia in compagnia de L’Ingegnere. Era tutto pronto: l’esproprio dei terreni; la documentazione per indire la gara d’appalto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e il bando per l’assegnazione degli interventi di Edilizia Convenzionata. Ma gli uomini grigi arrivati da lontano erano stati chiari: le varie fasi non si possono sovrapporre; in altre parole, fino alla formalizzazione degli espropri, non era possibile procedere con la realizzazione delle opere.

«In teoria», precisò il Pinzagli. “Cosa voleva dire”, chiese il farmacista senza proferir parola ma, semplicemente, emettendo un piccolo grugnito e mettendo le ciglia a formare una “V” aperta con la punta rivolta verso il naso.

«Vuol dire che se i progetti e i capitolati; i disciplinari e le norme contrattuali e tutte le altre inutili diavolerie strettamente necessarie sono pronte, noi procediamo con la pubblicazione dei bandi di gara».

Il vicesindaco notò per la prima volta che l’inversione dei ruoli, o meglio, dell’ordine gerarchico, era già iniziata. La cosa non gli dispiacque e nemmeno lo preoccupò: per lui quello che conta è solo la conversione in moneta sonante dei risultati e per ottenerla con soddisfazione servono decisione, idee chiare, intraprendenza e, anzitutto, totale assenza di scrupoli. Tutte doti che a Raimondo non mancavano.

Il Soprassata esalò un nuovo grugnito che l’interlocutore interpretò come il consenso a proseguire:

«Tutto quello che può succedere è che qualcosa non vada per il verso giusto, provocando ritardi nell’inizio dei lavori o, nella peggiore delle ipotesi, la cancellazione del progetto. In tal caso il Comune si troverebbe a dover risarcire con penali considerevoli gli aggiudicatari degli appalti e delle concessioni» …pausa ad effetto: «ovvero noi». Sul volto di Nero Ceccanti, per quanto consentito dalle guanciottone reticolate di venuzze, si spalancò un sorriso di incontenibile soddisfazione. Ma L’Ingegnere non aveva finito:

«Una volta proceduto all’aggiudicazione, nel malaugurato caso che gli espropri non dovessero ancora essere esecutivi, il Comune potrà adire all’istituto dell’Occupazione Temporanea d’Urgenza come strumento per entrare in possesso dei terreni ed avviare le opere di urbanizzazione, senza ritardare la consegna dei lavori e senza il conseguente esborso di penali. Ovviamente, l’occupazione, non sarebbe né temporanea, visto che ne approfitteremmo per realizzare opere permanenti, tanto meno d’urgenza dal momento che non avrà la finalità di scongiurare un pericolo imminente o di soddisfare un bisogno improrogabile legato alla pubblica utilità…» altra pausa, però breve, perché ormai il Pinzagli era un treno in corsa «…Ma per vanificare il procedimento servirebbe un’opposizione dei proprietari e, posso garantirti, che la Cli.de.c. non ha nessuna intenzione di ostacolare la costruzione di Montignano e Unghiano ».

Nero Ceccanti rifletté qualche secondo su quali potevano essere i rischi legati all’attuazione della strategia proposta da L’Ingegnere, e gliene vennero in mente di tre ordini: economico; penale e politico. Concluse che il primo non era nemmeno da prendere in considerazione stando il fatto che, nella peggiore delle ipotesi (come l’aveva definita il Pinzagli), si sarebbe trattato solo di una partita di giro nella quale, da una parte, lui figurava come Amministrazione costretta all’esborso delle penali; ma dall’altra, sempre lui, figurava a capo del comitato d’affari destinato ad incassarle. In altre parole, una considerevole somma di denaro pubblico si sarebbe tramutata in capitale privato, tutto qua: il Soprassata decise che il gioco valeva la candela!

Quanto ai reati di rilevanza penale il vicesindaco, ignorante in materia di leggi tanto quanto avulso nel rispettarle, non sapeva dire se se ne sarebbero potuti configurare: tagliò comunque la testa al toro arrivando alla conclusione che, nel caso, sarebbero ricaduti su Vinicio Terraterra, firmatario di ogni atto in qualità di sindaco. L’aspetto più preoccupante, dal suo punto di vista, rimaneva quello politico e, dunque, anche quello su cui si soffermò maggiormente a pensare prima di tirare le somme. Poi le tirò: ai suoi paesani, li conosceva bene, in quattro anni sarebbe riuscito a fargli dimenticare anche una guerra nucleare; figuriamoci una “leggerezza” amministrativa… fra l’altro, ricordò a se stesso, imputabile al sindaco in carica; mica al suo vice!

La conversazione fra il Ceccanti e il Pinzagli sarebbe anche potuta finire lì, se non fosse per una piccola necessità, questa volta strettamente personale… anzi, familiare, del farmacista:

«Si tratta di mio figlio, Francesco…» esordì senza riuscire a nascondere nemmeno un grammo di imbarazzo.

Dal canto suo, Raimondo, che di tutto poteva intendersi tranne che di figli e di bambini, rimase lì, come un merlotto di nido, ad aspettare il proseguimento:

«…nulla di ché, ma sai come sono le donne…» il Pinzagli pensò che adesso sì, si stava entrando nei suoi campi di competenza. Ma non si intromise e lasciò che fosse il Soprassata a proseguire:

«Il bambino ha uno di quei problemini normali per la sua età, nulla di cui preoccuparsi. I medici che ha sentito mia moglie le hanno consigliato di fargli cambiare aria per un periodo… pensano che a farlo dormire in un luogo non familiare, l’effetto soggezione lo stimoli al controllo notturno della vescica… ho cercato di convincere mia moglie che è una soluzione al limite della stregoneria ma lei niente, oh!, vuol fare per forza questo tentativo…»

Nulla da fare, Raimondo non capiva… eppure il Ceccanti aveva riempito la sua frase di intervalli per consentirgli di interromperlo…, per dargli il tempo di sfoderare la sua soluzione. Non rimaneva che essere schietto:

«Allora ho detto, “se la prova dobbiamo farla, facciamola per bene”. Sicuramente Francesco si troverà più in soggezione se ospitato in una casa privata che in un albergo. Per questo, volevo chiederti, fra gli imprenditori con cui stai tenendo i rapporti… magari… qualcuno… uno di loro… potrebbe avere una casetta verso il mare che non usa. Non dico d’agosto, è chiaro: da ora a fine luglio sono sicuro che il problema sparirà». Finalmente il Pinzagli aveva capito, perdio!:

«Me ne occupo io, dammi un paio di giorni per saggiare il terreno… Ma quanti sareste, in tre?»

«Nooo!, e alla farmacia chi ci pensa? Già togliere mia moglie dalla cassa sarà un guaio incredibile: due, lei e il bambino». Era stata una giornata proficua e una domanda infelice ci poteva stare. La fece L’Ingegnere:

«Quanti anni ha il bambino?»

«Otto».

 

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