M'ASTENGO O NON M'ASTENGO?

 


M'astengo o non m'astengo? È questo il dilemma? Direi proprio di no!

Ma proviamo a farci un ragionamento su quello che si è rivelato essere non solo il protagonista, ma addirittura il vero vincitore assoluto della tornata elettorale appena conclusa: sua maestà l'Astensionismo!

Cominciamo col dire che una quota compresa entro il dieci, massimo quindici percento, può essere accettata come fisiologica, imputabile in parte alla superficialità di chi non ha capito che se non si occupa della politica, sarà la politica a occuparsi di lui. L'altra parte è riconducibile agli impedimenti oggettivi per problemi di mobilità, lontananza geografica dal seggio e disturbi cognitivi. E fin qui non c'è nulla di cui allarmarsi.

I problemi insorgono quando la quota di riluttanza al voto interessa fra i quindici e i trenta elettori ogni centinaio. In questo caso la sorgente dell'astensionismo si sposta dall'elettorato alla classe politica, arroccata sempre più in un mondo a sé stante rispetto a quello in cui si barcamenano le “umane genti”. La mancanza di fiducia nella classe dirigente, altezzosa e insolente, si traduce in scarsissime aspettative per i cittadini, di conseguenza disaffezione al voto e nessuna sollecitazione a smuovere le chiappe solo per andare a scegliere il meno peggio (peraltro già selezionato a monte dalla segreteria del partito).

Ma i dolori seri iniziano quando la rinuncia a esprimere la propria volontà supera il trenta percento degli aventi diritto, fino a sfondare abbondantemente il muro della maggioranza assoluta com'è appena accaduto. Teniamo presente che gli astenuti dal voto non sono solo coloro che non ritirano la scheda elettorale, come vorrebbero farci credere le statistiche del mainstream, ma anche tutti quelli che la riconsegnano in bianco o annullata.

Se il caso precedente è interpretabile come il sintomo di un modo di far politica che non attrae più nessuno e ancor meno convince, adesso ci troviamo di fronte alla irrevocabile dichiarazione di fallimento del potere costituito. Prova ne sia il fatto che la maggioranza assoluta dei chiamati alle urne, non più in grado nemmeno di individuare il meno peggio, ha scelto di non umiliarsi a sostegno di uno schieramento che vale gli altri, tutti proposti e controllati (al di là di nomi o siglette più o meno fantasiose) dalla monolitica massa partitocratica che, a sua volta, incarna ormai solamente gli interessi di comitati d'affari lontani mille miglia dal popolo e dai suoi reali bisogni... salvo chiaramente ricordarsi che esiste quando va spremuto o, appunto, gli va chiesta la convalida col passaggio dal seggio.

Sfondando il muro del cinquanta percento, l'astensionismo ha dunque certificato l'irreversibile ripugnanza dei cittadini verso un ceto politico che non li rappresenta e, nel quale, non ripongono più alcuna speranza come apportatore di soluzioni vedendolo, semmai, come la causa di tutti i mali. In un simile contesto, in cui i partiti nel loro insieme non arrivano al quarantasette percento di consensi nonostante la concomitanza con le Amministrative (dove non si è votato per i consessi locali la percentuale è molto più bassa), parlare di democrazia rappresentativa suona come una bestemmia tirata in Duomo.

L'astensione non è quindi più un dilemma, ma essa stessa una chiara e inequivocabile espressione di volontà; un voto a tutti gli effetti, che parla da solo e davanti al quale la classe politica dovrebbe solo farsi da parte!

di Roberto Giorgetti

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