L'INVIDIA DELLA VAGINA

 


 

 Ho studiato Freud ma, dopo i primi apprezzamenti in età giovanile, non riesco a condividerlo fino in fondo, anzi, spesso lo trovo, oltre che eccessivamente "fallico", anche fallace.

 Inoltre, è la famiglia Freud in genere a non ispirarmi molta simpatia: il nipote Bernays è stato uno spregiudicato psicologo, la cui inclinazione la si può agevolmente dedurre dal titolo del suo saggio: "Propaganda: come manipolare l'opinione in democrazia", e quanto facesse sul serio lo si deduce dal fatto che è stato lui a introdurre la colazione a base di uova e bacon in America, per accontentare le richieste dell'industria. Mentalità ashkenazita, insomma.

 Freud analizza spesso gli individui prendendoli come entità auto-sussistenti, preordinati emotivamente e pulsionalmente da una logica intrinseca al loro sviluppo, prescindendo dal peso individuale della personalità e da quello socio-culturale che la influenza. Tralascia meccanismi semplici e intuitivi per teorizzarne altri ben più tortuosi e opinabili. Mi pare un po' morboso e, del resto, ho respirato una strana aria di ambiguità nella sua Austria, benché temporalmente lontana dai suoi tempi. L'apparente scioltezza con cui gli austriaci si relazionano sembra nascondere un materialismo che lascia intuire una certa distanza dai sentimenti, dall'autenticità. Conformismo borghese, formalità, egocentrismo, efficientismo e socialità superficiale, legata soprattutto all'uso (e abuso) della birra, restituiscono l'idea di una diffusa anaffettività e di una insoddisfazione facilmente prodromi di tic, manie o, perfino, perversioni. Insomma, avrei difficoltà ad ambientare in Austria una storia d'amore, ma non farei sforzo a immaginarne una legata all'alienazione o alla solitudine, anche se Freud non fosse stato lì. Anzi, per dirla tutta, credo che non a caso Freud provenga dall'Austria, terreno fertile per paturnie e conseguenti postulazioni.

 La sua teoria dell'invidia del pene è cervellotica e, sebbene sia ragionevole un fondo di verità, penso vada di parecchio ridimensionata. Le bambine in età pre-scolare possono sperimentare il senso di un deficit nel momento in cui scoprono la differenza anatomica che le distingue dal maschio, ma credo che questo accada essenzialmente a motivo del fatto che vedono in esso una superiore forza fisica, sottolineata spesso e volentieri dai bambini stessi con gesti esibizionistici vòlti a rimarcare l'appartenenza di genere. È anche plausibile che la necessità di differenziarsi dalla madre, sciogliendo il legame simbiotico e uniformante della prima infanzia, sia reso più difficile dall'analogia fisica che le accomuna: l'invidia del pene svelerebbe al contempo questa esigenza e la sua difficoltà a realizzarsi. Tuttavia il senso di uno svantaggio viene superato proprio in virtù del complesso di Elettra, che svela e appaga la nascente manifestazione di una naturale propensione alla complementarietà. Che Freud sia più bravo a creare labirinti piuttosto che a fornire il filo per uscirne è dato anche dal fatto che postula il complesso di Edipo, ma si dimentica di quello di Elettra, ben più poetico e potente, che verrà teorizzato da Jung.

 Il quadro, così semplificato e ridefinito, chiarisce come possa articolarsi, contemporaneamente, un senso di differenziazione e di appartenenza rispetto al genere in una bambina fisicamente e psicologicamente ben delineata.

 Ora però provo ad immaginare come possa svolgersi il processo in un individuo con caratteristiche meno definite o contrastanti. Il pretesto me lo offre lo sport, con i casi dei pugili Lin Yu Ting e Imane Khelif: maschi che dichiarano di sentirsi donne gareggiano contro queste ultime, con una evidente disparità che crea interrogativi anche di tipo psicoanalitico. Sembra infatti che, dietro una scelta così strafottente si possa celare, al di là dell'evidente egoismo e di una innegabile a-moralità, una profonda e irrisolta conflittualità col femminile. 

 Parlando di individui con un patrimonio genetico che li contraddistingue come maschi, con un aspetto e una produzione ormonale prettamente maschili, il dichiararsi donne e lo sfidarle appare come la scelta attendibile di chi abbia sperimentato un complesso di Elettra (attrazione per il padre) con la frustrazione di non rappresentare una femmina credibile, che quindi verrà detestata come ideale non incarnato; in tal senso, vi sarebbe un meccanismo di compensazione nel conseguimento di un buon risultato proprio in quella categoria che andrebbe a confermare l'identità mancata. Non risultando, ovviamente, pertinente un'invidia del pene, la tentazione irresistibile e logica sarebbe quella di postulare un'invidia della vagina, spiegazione che appare quanto mai sensata. Questi uomini che dicono di sentirsi donne, non dimostrano infatti quel senso di rispetto e di limite verso le avversarie che sarebbe istintivo in qualsiasi altro maschio, o da parte di altre sportive: sembrano piuttosto celare un disprezzo, un'invidia; tutt'al più come quello di una donna verso una rivale.

 Non credo si possa liquidare la questione riconducendola semplicemente all'omosessualità, che può esprimersi armoniosamente nell'uomo come nella donna, ma direi piuttosto trattarsi di una patologia della sfera affettivo-emozionale, che si innesca quando i complessi di Edipo o di Elettra dovrebbero animarsi in un corpo allineato con la psiche, e invece è il conflitto a farla da padrone.

Sara Lunghini

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