QUATTORDICESIMO CAPITOLO - L'Iris che i miracoli

 

“…Ai due marescialli, se volevano darsi un risposta, non rimaneva che indagare...”


L’avvocato Calabrò aveva intercettato i pensieri del Maresciallo Caglioma e prima d’uscire, sulla porta della Caserma di Pasticci, salutandolo lo rassicurò che avrebbe fatto tutto il possibile; che l’avrebbe combattuta come fosse una battaglia personale.

Chiusa la porta della caserma alle spalle dell’avvocato e chiusa pure quella delle investigazioni sull’omicidio, sul caso Loiodice rimaneva aperta quella che si affaccia sul lungo e penoso cammino giudiziario… poi ce ne erano almeno altre tre di porte rimaste aperte su altrettante domande in attesa di risposta: quali rapporti legavano Martino Loiodice a Giuliano Bondio? E la coppia Pinzagli/Ceccanti, cosa tramava? Infine, perché i tirapiedi del Cinà avevano cercato il povero Martino al bar California per ben due volte, a pochi giorni dalla fine della sua vita e della sua sventurata avventura di delinquente improvvisato? Tutte domande alle quali il maresciallo Caglioma era risolutamente intenzionato a dare una risposta.

*****

Daniele Tempestini aveva girato mezza Parvenze, ma alla fine era riuscito a convincere il gestore del Bar Cone, sul Lungolago, a vendergli una bottiglia di Flor de Caña Centenario, un rum nicaraguense invecchiato dodici anni...

…e con in mano la bottiglia che l’amico gli aveva procurato, il Maresciallo Caglioma si presentò in visita al collega comandante della Stazione dei Carabinieri di Interporto.

Il leggero venticello estivo riusciva a fatica a sospingere l’ariettina salmastra fino al giardino contiguo all’alloggio del Comandante, posto sul retro della caserma e a confine con la pineta. Insieme però alla fragranza leggermente pungente della resina dei pini, legittimava gli astanti ad immaginare il microcosmo in cui erano immersi privo della prossimità con l’interporto e con tutti i suoi annessi e connessi.

I sigari del Sarzana e il rum del Caglioma svolgevano a pieno titolo la loro funzione deliziatoria e sui due sottufficiali, seduti intorno al tavolinetto in ferro smaltato di verde, pareva che la calura afosa di fine giugno passasse senza riguardarli. Prima di andare a convergere sulle questioni professionali parlarono a lungo dei tempi andati, sempre migliori per definizione e, ahimè, non solo, di quelli che “corrono” ma anche delle aspettative prevedibili per quelli a venire.

Finito di rivangare il campo del tempo irrecuperabile, la conversazione cadde su Giuliano Bondio. A detta del maresciallo Sarzana - e non esiste motivo al mondo per dubitare della sua affermazione - si trattava di un uomo di mezzo, anello di congiunzione fra la delinquenza comune e quella organizzata. Originario di Mercato Sanseverino, si era trasferito a Laburna molto giovane dopo essere stato assunto con la mansione di autista dalla locale azienda di trasporto pubblico. In seguito aveva traslocato a Interporto dove aveva comprato casa, mantenendo però lo stesso impiego presso la municipalizzata del capoluogo. Il Caglioma interruppe il racconto del collega ancor prima che entrasse nel vivo:

«E questo sarebbe il nostro uomo che va in giro con la Volvo? Scusa Cesare, ma quanto guadagna un autista d’autobus dalle vostre parti?»

«È evidente che si tratta di un impiego di copertura... o, almeno, noi ci siamo convinti di ciò e non crediamo di sbagliarci di tanto. Il ruolo effettivo della sua presenza sul nostro territorio è piuttosto quello di basista e di occhio lungo dei clan malavitosi extraregionali, sempre più vogliosi di propendere i loro tentacoli fino qua». Il tempo di aspirare una boccata di aroma caldo dal sigaro e Cesare Sarzana proseguì il suo racconto:

«Probabilmente per l’aumentare del volume degli affari loschi, che lievitato proporzionalmente a quelli che potremmo definire leciti, la presenza di Donato Mancini a Interporto è diventata stanziale da tre anni a questa parte anche se, ufficialmente, come sai, ha mantenuto la residenza nella zona vesuviana».

Prima del trasferimento di quest’ultimo, aveva continuato a spiegare il Sarzana, il Bondio rendeva conto e prendeva ordini direttamente dalla “famiglia” di riferimento, ed era l’unico referente direttamente legato alla cosca campana presente in pianta stabile sul posto:

«Noi lo teniamo sotto osservazione da molto tempo e stavamo per acciuffarlo quando sulla scena, appunto, comparve il Mancini. Allora prendemmo la decisione di lasciarlo scorrazzare ancora un po’, in primo luogo nella speranza che ci portasse fino al pesce grosso e, al tempo stesso, consentirci di mettere insieme capi di imputazione e prove a sufficienza per arrestarli entrambi».

In secondo luogo, lasciare il Bondio libero di muoversi aveva consentito agli uomini dell’Arma di ricostruire la ramificazione del sistema malavitoso locale. Il comandante della Stazione dei Carabinieri di Interporto guardava ora la cenere ancora intatta e compatta del suo sigaro e, forse per evitare di sciuparla, lo ruotava lentamente fra le dita evitando di portarlo alla bocca:

«Adesso, dopo il fermo del Mancini e della moglie avvenuto grazie a voi, pensiamo che sia giunta l’ora di stringere i cordoni e tirar su la rete». Il maresciallo Caglioma colse la soddisfazione del suo parigrado; a lui interessava però capire cosa legava il Loiodice al Bondio, sicuro che ciò avrebbe svelato anche i rapporti fra il Mancini e la banda dei Cinà.

«Quello che posso dirti», rispose il Sarzana, «è il funzionamento della macchina organizzativa su cui si basano le attività criminali che fanno capo al Mancini. Tanto per cominciare si sono specializzati in due settori e solo di quelli si occupano: l’estorsione e il commercio all’ingrosso di droga. Con la prima attività non tralasciano nessuno, imponendo il pizzo dall’ambulate che monta il banchetto dei fiori fuori dal cimitero la domenica mattina alla cooperativa dei gruisti, quella che ha in mano l’intera movimentazione dei container nell’interporto. Per quanto riguarda il traffico di narcotici il Mancini dispone di una rete di corrieri, coordinati e controllati dal Bondio, attraverso i quali le sostanze stupefacenti, un po’ tutti i tipi che si trovano in commercio, arrivano qua e, sempre da qua e sempre con la stessa rete di corrieri, rispedite in tutta la regione dopo essere state sezionate in partite più piccole. La vicinanza del porto e dell’interporto è da considerarsi quasi una coincidenza poiché la rete di corrieri di cui si avvalgono è indipendente e, solo in casi sporadici, forse in casi di emergenza, ci risulta che siano ricorsi alle strutture portuali per far arrivare la mercanzia».

Quindi, aveva ragionato fra sé il Caglioma, se non è una mera coincidenza, il fatto di essersi impiantati qui è tuttalpiù riconducibile al fatto che secondo loro le forze di polizia, in primis la Guardia di Finanza, sono concentrate sui traffici interni all’area portuale sentendosi, di conseguenza, molto meno osservati che in altri luoghi. Insomma, dal loro punto di vista, la presenza di una grossa struttura mercantile li avrebbe protetti un po’ come, in ambito militare, l’emissione di certi segnali di disturbo rende invisibili i sommergibili ai radar.

Il maresciallo di Interporto lasciò il tempo al collega di Pasticci di fare le sue considerazioni intime e quando gli parve che avesse finito, riprese

«Da quello che abbiamo appurato i corrieri non vengono remunerati in denaro, almeno che non effettuino consegne o ritiri che esulano dall’incarico concordato. Dalle intercettazioni e dalle deposizioni di spacciatori che abbiamo arrestato, il compenso per i “trasporti eccezionali” viene concordato di volta in volta, mentre il lavoro di “routine” è bilanciato con l’assegnazione di una piazza in esclusiva». Altra pausa per bagnarsi la bocca di rum e si spiegò meglio

«I pusher sottostanno a regole simili a quelle che disciplinano il commercio ambulante e secondo cui, i commercianti, pagano all’Erario una tassa che gli consente di occupare il suolo pubblico. Nell’organizzazione del Mancini funziona esattamente allo stesso modo: l’attività del corriere viene remunerata con l’assegnazione di una piazza in esclusiva sulla quale esercitare l’attività di spaccio al dettaglio, attività nella quale né il Mancini e nemmeno il Bondio mettono bocca direttamente ma sulla quale si riservano il ruolo di supervisori. Il corriere, a quel punto, per monetizzare la sua retribuzione è costretto a diventare non solo spacciatore, ma anche acquirente all’ingrosso della stessa droga che andrà a rivendere. In questo modo la cosca lega a doppio filo i propri gregari che si ritrovano ad essere, allo stesso tempo, fornitori di un servizio e clienti dell’organizzazione».

…Ed ecco anche spiegato, rifletté il Caglioma traendo una prima conclusione, come lavorava il Loiodice: con i cosiddetti ritiri si era guadagnato una fetta di mercato sulla piazza dello spaccio di Isolato Quarto, mentre i prestiti che chiedeva in giro servivano per acquistare dal Bondio la materia prima da smerciare in proprio. E questo spiegherebbe anche la discussione nella discoteca Lucciole per Lanterne riferita da Erminia, la parrucchiera fidanzata (o ex fidanzata) del fu Martino Loiodice: evidentemente stavano trattando il compenso per un ritiro straordinario rispetto alle consuete prestazioni pattuite. A questo punto però, fra la banda del Cinà e la cosca rappresentata dal Mancini, non c’era solo un rapporto di collaborazione, già ipotizzato in seguito alle visite del campano al bar Strong, ma, evidentemente, fra le due organizzazioni esisteva una vera e propria commistione, dal momento che il Mancini avrebbe concesso al Loiodice l’esclusiva su una fetta di torta appartenente al Cinà

«Ma in cambio di cosa?», si chiese il Sarzana a voce alta

«Probabilmente si tratta di uno scambio di favori alla pari fra sodali. Il Cinà non è certo il tipo che fa concessioni per innata generosità».

 

 

Ai due marescialli, se volevano darsi un risposta, non rimaneva che indagare. E lo avrebbero fatto. Anche all’appuntato Tempestini e al carabiniere Pierobon toccava indagare su disposizione del tenente Galassi e sotto il coordinamento dello stesso maresciallo Caglioma. Il compito a loro assegnato, visto che nella vicenda c’erano dentro fino al collo, fu quello di ricostruire il percorso della pistola usata per sparare al povero fruttivendolo.

 

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